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Brescia,

domenica 5 maggio 2024

Imparzialita' del pubblico ministero e prove nascoste

Nel lungo dibattito che ha portato all’emanazione del nuovo processo penale,  del 1989, si sono inseriti due punti chiave.

Secondo il primo, il Pubblico Ministero, dovendo comunque difendere lo Stato, ed il diritto sul quale si fonda la sua autorita’, quale baluardo a garanzia dei cittadini da qualsiasi sopruso ed abuso, dovrebbe avere anche il dovere, anzi l’onere, di accertare la verita’ anche a favore dell’imputato.

L’altro punto chiave attiene alla posizione di terzieta’ del giudice, auspicata generalmente dal codice Piasapia, ma mai realizzata nella sua piena efficacia.

Questi due punti si intersecano vicendevolmente in quanto in primo luogo la terzieta’ del giudice implica che difensore e pubblico ministero siano in piena parita’.

Tuttavia e’ il primo punto che offre la sponda ad una concezione del pubblico ministero quale parte pubblica superiore, che quindi persegue il bene comune, e codice alla mano, ricerca anche le prove a discarico degli indagati.

Solo che molto piu’ spesso di quanto si possa immaginare, il pubblico ministero tiene nascoste le prove favorevoli alla persona da lui sospettata di essere colpevole proprio perche’ il suo potere glielo consente.

Qualcuno ha sostenuto che il tema delle prove nascoste non implica una piena scorrettezza professionale del pubblico ministero, e si specifica addirittura ovviamente fuori dai casi di evidente intenzionalita’ fraudolenta, come se l’intenzionalita’ fraudolenta non possa essere mai considerata come oggetto di indagine oppure non possa mai essere dimostrata.

E questo, attraverso l’applicazione della riforma voluta dal Ministro Carlo Nordio, sara’ il banco di prova della volonta’ di scardinare un sistema che si e’ imposto grazie alla convivenza tra magistratura giudicante e magistratura requirente.

E tutto questo e’ accaduto proprio con riferimento all’inutile processo, contro il Dott. Giuseppe Traversa, nel quale, essendo gli avvocati difensori in grave difficolta’, a seguito del decesso del primo difensore per tumore al cervello, e dell’impossibilita’ pratica del difensore intervenuto, in quanto erede di tutte le cause in corso del primo difensore, di svolgere un’efficace difesa.

In tale contesto, pur in presenza di un pentito, rivelatosi in seguito in piena contraddizione, emerge in modo lapalissiano come il Dott. Marco Martani non potesse non essere a conoscenza delle prove a favore del Dott. Giuseppe Traversa, o che addirittura non potesse non possederle in qualche recondito cassetto.

Quindi si assiste al passaggio del pubblico ministero da autorita’ superiore, in quanto investita del dovere di perseguire il bene comune, ricercando le prove a discarico degli indagati, ad autorita’ superiore che non fa altro che ricercare la propria verita’, contro il malcapitato indagato, nascondendone le prove a favore, che porterebbero all’archiviazione del caso, come poteva sicuramente accadere, nel giro di due o tre settimane.

Tutto cio’ porta inesorabilmente ad affermare una supremazia etica e processuale dell’accusa, che comporta, non solo una disparita’ originaria e connaturata tra le parti, portando a considerare il punto di vista difensivo in se’ come inattendibile e sospetto, ed al contempo gettando ombre sull’attivita’ del giudice, il quale e’ chiamato ad una vera e propria sfida ogniqualvolta ritenga di dover pronunciarsi in modo nettamente contrario alle tesi dell’accusa.

Quindi il giudice che assolve potrebbe essere considerato in modo sospetto.

Ed in questo frangente si inserisce la ben nota polemica relativa ai giudici che non fanno altro che copiare integralmente le tesi dell’accusa, senza esperire un primo vaglio critico. 

Proprio quello che e’ accaduto nel caso del Dott. Giuseppe Traversa, ove il giudice delle indagini preliminari ha sposato in pieno le tesi dell’accusa, senza valutarle criticamente alla luce delle prove, che a lui non sono mai state presentate, proprio perche’ nascoste.

Tutto cio’ getta una cattiva luce sull’operato del pubblico ministero, il quale ha proditoriamente omesso di presentare le prove a discarico del Dott. Giuseppe Traversa, e che non poteva non conoscere.

Cio’ pone le basi per un’eventuale denuncia per omissione di atti di ufficio, commista con il reato di falso ideologico, ed il reato di secretazione di atti idonei al proscioglimento dell’imputato in questione, tutte ipotesi di reato che adesso come adesso nessuno vorrebbe accogliere.

Tuttavia una tale denuncia potrebbe avere maggior seguito in un sistema ove la terzieta’ e la superiorita’ del giudice delle indagini preliminari possano avere un pieno riconoscimento, e cio’ avverra’ sicuramente con l’ampia riforma del diritto penale, che verra’ emanata dal Guarda Sigilli Ministro Carlo Nordio.

Certamente tale terzieta’ e superiorita’ del giudice implica che la vera natura di un pubblico ministero non possa che essere una parte al pari della parte civile e della difesa.

E quindi bisognera’ evitare di sostenere ad ogni pie’ sospinto quella caratteristica mitologica di cultura della giurisdizione, che sarebbe a fondamento dell’opinione sulla natura stessa dei pubblici ministeri, secondo la quale essa conferisca miracolosamente al titolare delle indagini un’essenza di imparzialita’.

Cio’ da un lato implicherebbe automaticamente che il giudice diventi un inutile doppione del pubblico ministero.

Ed allora si ritornerebbe al vecchio sistema del giudice istruttore di memoria inquisitoria, proprio cio’ che la riforma di Pisapia si era proposto di superare, vanamente.

Certamente prima di una qualsiasi riforma, il sistema sara’ orientato comunque al fatto che quando il pm e la polizia giudiziaria selezioneranno le intercettazioni telefoniche o ambientali relative alle persone, nei confronti delle quali hanno pervicacemente ottenuto che il giudice le disponesse, sulla base di indizi di reita’, che hanno ampiamente argomentato essere gravi ed attuali, ci puo’ essere qualcuno che seriamente immagini che la scelta delle prove sia condotta con lo spirito imparziale del giudice?

In teoria dovrebbe esserci il giudice per vagliare quelle prove, sempre che il pm le porti a sua conoscenza.

Se invece le parti fossero ad armi pari, potrebbero portare il proprio punto di vista innanzi al giudice, il quale verra’ esso in condizione di avvicinarsi il piu’ possibile alla ricostruzione della verita’ dei fatti.

Tuttavia la magistratura italiana, in seno al all’ANM ed al CSM, non accetta questa elementare verita’, e continua a ritenere prevalente la parte pubblica, che avrebbe il superiore compito, non solo di perseguire il bene comune, ma anche, codice alla mano, anche di ricercare le prove a discarico degli indagati, a meno che non ne sia gia’ in possesso.

La conseguenza della prevalenza della parte pubblica porta automaticamente a considerare il difensore come parte inesorabilmente parziale, onde il punto di vista difensivo e’ sempre da considerare inattendibile, se non sospetto, mentre il pm, come parte superiore, non farebbe altro che ricercare la verita’.

Ma cio’, corroborato dalla maggioranza delle opinioni dell’ANM e del CSM, che hanno a cuore il predominio del pm, potrebbe benissimo comportare un autentico dissidio tra pm e giudice, con la conseguenza di far passare per sospetto persino il giudice, ogni volta che ritenga di dover smentire l’accusa.

E tutto cio’ e’ stato come temeva il giudice del procedimento di mio padre Giuseppe Traversa, cioe’ riteneva che non fosse opportuno andare contro le tesi accusatorie del Dr. Marco Martani.

Si auspica quindi una riforma che comporti la piena parita’ tra difesa ed accusa, fermo restando il dovere per il pm di cercare e di presentare al giudice le prove a discolpa dell’indagato.

Si parla di legge bavaglio

Non esistera' mai una legge bavaglio, semmai sara' una legge che eliminera' definitivamente la gogna mediatica, causando anche la cessazione definitiva del favore verso la pubblicazione di balle colossali e anche il conseguente stop al copia e incolla operato tra pubblici ministeri e magistrati giudicanti.

Oggi pubblici ministeri e giornalisti sono  l'uno a braccetto con l'altro, l'uno funzionale all'altro,  assoluti  padroni  della reputazione di una persona.

È questo  il bene che difendono, cioe’ la possibilita’ ad libitum di decidere della reputazione delle persone.

Basta con la lagna delle leggi bavaglio, per favore.

Basta con le orde di giornalisti che si percuotono il petto al grido, contrito di dolore, per cui non potrano più informare i cittadini sulle inchieste perche’ affermano che subiranno la sottoposizione ad un bavaglio.

Ma per favore, siamo seri, sono tutte balle colossali.

Essi vogliono solo vogliono difendere il privilegio eccessivo e  padronale di voler impossessarsi delle altrui reputazioni, vicende, e carriere.

Infatti l'obiettivo di un'inchiesta a carico di un cittadino, anche se viene richiesta la detenzione cautelare in carcere, è quello di appurare se siano stati commessi reati o meno, con l'ulteriore scopo di separare un grave indiziato dalla società, che si vorrebbe proteggere.

Il fine di un'informazione di garanzia non e' quello di scatenare una gogna colpevolista e anticipatoria di colpi parziali che potrebbero benissimo, come sempre più spesso accade, dimostrarsi poi fallaci, nel valutazione delle prove processuali.

Rimettiamo dunque nel fodero la lagna a difesa di una casta che vuole rimanere padrona  del  diritto  di sputtanare la gente con la scusa che c'è un'inchiesta e  noi  ci  siamo  limitati  solo a riportarne  gli elementi.

Ma quale bavaglio.

Ma altrettanto bisogna mettere un freno al copia e incolla del gip di cio' che abbia ricevuto dal pm ed uno stop alla disinformazione.

La verità è che quanto si propone da alcuni, come Enrico Costa, rappresenta un placebo ho una carezza fin troppo leggera, contro un malcostume diventato consuetudine,  che  non  c'entra  nulla  con l'informazione, ma è più aderente ad una orientata disinformazione contra personam.  

Cosa   propone  Costa?

Di tornare al regime  della normativa  precedente  al  2017,  cioè  a quanto prescrive  l'articolo 114 del codice di procedura  penale.

In sostanza si propone che degli atti di indagine espletati dagli inquirenti nelle indagini preliminari, si possa raccontare solo il contenuto,  ma  non pubblicare per intero il documento.

Ma non cambia nulla, come si puo' evincere dal processo intentato dal pubblico ministero famoso, il 26 novembre 1993, contro Giuseppe Traversa, che la Voce di Mantova ha persino indicato come il vertice di una cupola mafiosa dedita alla creazione di fatture false.

Dal 2017 infatti, dopo un intervento dell'allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando, a questo regime, contro cui nessuno di quelli che oggi protestano aveva mai protestato, vengono sottratte  le ordinanze di custodia cautelare in carcere, che rappresentano ancora il testo a cui i giornali continuano pienamente ad attingere.

Che sono ormai un copia incolla, che spesso per pigrizia i giudici delle indagini preliminari fanno delle richieste di custodia cautelere in carcere avanzate dai pubblici ministeri, e cio’ rappresenta un’anomalia quasi contra legem.

In sostanza, il copia incolla selvaggio e spesso acritico è ahimè il contrario di quel che dovrebbe essere, cioè un primo vaglio assai severo che un gip dovrebbe stendere su quanto raccolto sino al momento della richiesta dal pubblico ministero, che gli chiede di restringere la libertà di una persona, di cui si chiede l'arresto e la detenzione cautelare in carcere, oppure il semplice termine per la chiusura delle indagini o dell'inchiesta, in attesa del processo.

Ebbene, ormai da anni la pratica che qualcuno pretende resti tale, vuole che di quell'ordinanza si dia completa pubblicazione, anche se è provvedimento del tutto parziale perché deve ancora passare il vaglio del Tribunale del Riesame e della Cassazione.

Vaglio che molto spesso fa a pezzi tanto la richiesta, quanto l'ordinanza che le dà disco verde acritico. 

Ma sapendo che l'ordinanza è tutta pubblicabile, e  che  il gip  nell'accoglierla  non  ne  cambierà  una  virgola,  la richiesta viene scritta a mo' di genere letterario, e condita di particolari molto      gustosi, suggestivi, funzionali alla pubblicazione che non deve informare i cittadini, come capziosamente si sostiene, ma orientarne il consenso.

Un copia e incolla sul quale si fonda la concezione del ruolo di un gip che sia subordinato  al pm.

Sono piuttosto rare le occasioni in cui il gip si opponga alle richieste del pm.

Il solito  discorso,  insomma,  di  usare  la  stampa  per sostenere  se stessi e leproprie inchieste anche se queste sono molto labili e che se le si vagliasse con imparzialità e severità sin dall'inizio,  morirebbero sul nascere.

Enrico Costa si propone, giustamente, di proteggere la privacy dell'indagato.

Perché sempre più spesso l'iter è il seguente, e cioe’ che il pm fa richiesta di arresto e, guarda caso, nella richiesta finisce di tutto, come particolari gustosi ma irrilevanti penalmente, intercettazioni tagliate e decontestualizzate, addirittura elementi utili a un certo racconto colpevolista ma estranei all'inchiesta.

Il gip fa copia e incolla e dispone l'ok alla richiesta.

Scatta l'arresto per il malcapitato di turno, che si vede irrimediabilmente sputtanato su giornali e telegiornali.  

I quali nel frattempo, pur lavorando poco o niente, ma si ritrovano tanto materiale per fare un racconto colpevolista che puo' far indignare il loro pubblico di lettori e puo' far vendere loro più copie e click.

In tal modo il pm acquisisce consenso e visibilità, cioe' una notorieta' che poi magari gli consentira' persino di candidarsi in qualche partito.

Anche se poi questa prassi, considerato il rischio insito nelle elezioni politiche od amministrative, e' venuta meno, considerati gli ultimi divieti di ripresentarsi come magistrato a chi si sia messo in aspettativa per essere eletto in qualche partito.

Poi arriva il riesame che fa a pezzi la misura già attuata e pubblicizzata, ma nessuno ne scrive una riga, né ne fa menzione, e l’indagato torna libero ma macchiato per sempre. 

Poi nel proseguo del procedimento in un caso su due verrà addirittura assolto, ma per tutti i non addetti a i lavori, quindi la maggioranza della gente, resterà macchiato del sospetto di essere un criminale e se nell'ordinanza, con cui è stato buttato in cella in attesa di un processo, c'era qualche elemento di racconto suggestivo, gli resterà appicciato sulla schiena, indelebile.

Diciamo la verità, e cioe’ cosi come è il regime post 2017, rapresenta uno stimolo a mettere di tutto nelle  richieste di detenzione cautelare in carcere, soprattutto i particolari irrilevanti penalmente, ma gustosi per chi difende la tutela del proprio sputtanandi.

Altro che libertà d'informazione questa e' liberta' di disinformazione.

In questo  schema,  oltre  che  della  libertà  personale  dei cittadini, pubblici ministeri e giornalisti sono,  l'uno  a  braccetto con l'altro, l'uno funzionale all'altro, assoluti padroni della reputazione di una persona.

È questo il bene che difendono, il diritto di distruggere la reputazione delle persone, come e' accaduto al Dott. Giuseppe Traversa. 

Un  potere  dispotico.

Invece, se passasse questa proposta, come sembra che sia, visti i  numeri al Senato, i giornalisti potrebbero senz' altro raccontare che c'è un'inchiesta, che riguarda Tizio, che Tizio è stato arrestato, e raccontare anche il contenuto dell'ordinanza, ma senza quella parcellizzazione che oggi impera, ovvero tentativo di raccontare i fatti solo come i lettori si aspettano di leggerli, utile solo a distorcere alcuni elementi per viziare a proprio favore il consenso di chi guarda o legge.

Francamente, mi pare che questa riforma sia proprio insufficiente.

Io sono dell'idea che si dovrebbe anche vietare  la pubblicazione del nome e dell'immagine del magistrato che si occupa di una determinata inchiesta, e citare solamente l'ufficio che procede contro un cittadino, spersonalizzando il lavoro della procura che indaga.

Così scemerebbe quell'enorme propensione alla vanità che muove alcuni pubblici ministeri nel promuovere certe azioni eclatanti, pensate solo per sostenere il proprio protagonismo, e metteremmo forse fine ai processi per vanità.

Che sono assai più di quanto non si creda.

lunedì 22 gennaio 2024

Diritto processuale penale comparato e film polizieschi

Ho visto film polizieschi e gialli italiani ed americani per circa 60 anni, e molti di essi hanno per oggetto soltanto la ricerca delle prove per inchiodare un sospettato, allo scopo di un eventuale processo penale.

Tale processo, per quanto concerne i gialli ambientati in Italia, non sara' mai visibile.

Il contrario accade per i gialli ambientati negli Stati Uniti, ed anche se per alcuni di essi ugualmente il processo non sara' svolto nelle fasi dei film, nella stragrande maggioranza di essi, si potranno visualizzare anche le fasi processuali che portano all'incriminazione del reo od anche alla sua assoluzione.

MI sono sempre chiesto il perche' vi sia questa abissale differenza tra le scelte delle direzioni televisive italiane, che sembrano far capo ad un'unica regia, e quelle delle direzioni televisive degli Stati Uniti d'America.

Dopo gli ultimi sviluppi sui vari scandali, che alcuni anni fa hanno minato la credibilita' della Magistratura italiana, come ad esempio il caso Palamara, la realta' della Magistratura italiana, anche sulla base di critiche, esposte dal Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ovvero il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, rimane comunque caratterizzata da una forte indipendenza dai poteri esecutivo e legislativo, ed autonomia, nella gestione interna delle carriere e del merito di ciascun magistrato.

Tanto e' vero che l'Italia e' stata presa come esempio, dalle altre nazioni europee, da imitare nel proposito di rafforzare l'autorevolezza delle proprie Magistrature affermando indipendenza ed autonomia quasi negli stessi termini.

Sappiamo bene che in Italia tutto cio' si e' verificato con una Costituente, la quale ha cercato, con il massimo dei suoi sforzi, di garantire un sistema che fosse totalmente diverso da quello creatosi durante il precedente ventennio, ispirato ad una completa dipendenza della Magistratura dal potere esecutivo inquadrato all'interno di una dittatura.

Queste caratteristiche di indipendenza ed autonomia della Magistratura italiana, hanno influito notevolmente sul grado di autodichia ed autocelebrazione della Magistratura stessa, al punto da rendere inutili tantissimi sforzi legislativi, allo scopo di rendere efficiente e rapido lo svolgersi delle udienze penali, evitando di avere processi che durano da piu' di 25 anni, come in un caso accaduto in Campania proprio ultimamente, a causa dell'ennesimo rinvio.

Mi pare evidente che tantissime leggi dello Stato italiano, come ad esempio il nuovo processo penale introdotto dal Piasapia, che di sicuro non era uomo di centro-destra, non abbiano trovato applicazione concreta, almeno nei suoi principi basilari.

Uno di questi principi stabiliva l'assoluta parita' tra pubblico ministero e difensore, in un processo diretto da un magistrato giudicante.

E invece noi abbiamo ancora un processo penale, in cui il vero demiurgo rimane il pubblico ministero, mentre il giudicante sembra un semplice spettatore, salvi i rarissimi casi in cui un giudicante si permetta persino di condannare il reo ad una pena piu' grave, come nel caso del gioielliere di Cuneo.

Ma a parte questo problema, che rimane inserito nel novero delle riforme, che verranno promulgate dal Ministro Carlo Nordio, e che comunque si ricollega ad un potere quasi legislativo, detenuto dalla Magistratura e teso a favorire il potere dei pubblici ministeri, rimane pur sempre l'esigenza di una vasta riforma che renda l'intero sistema penale piu' efficiente, rapido e snello.

Tuttavia sembra che tale esigenza non possa essere soddisfatta in tempi brevi, perche' la Magistratura stessa sembra gelosa dei suoi tempi e metodi di lavoro.

Certo e' che per molti utenti televisivi italiani, che magari capiscano qualcosa di processi penali, possono essere entusiasti dei film d'oltre oceano, attirando enormemente lo share televisivo, in quanto possono intendere i processi celebrati in tali film come una manna caduta dal cielo, allo scopo di avere un confronto tra le lungaggini dei processi penali italiani reali e quelli americani visualizzabili in tali film.

Ed infatti in Italia non e' mai stato ambientato e sceneggiato alcun film che che contenga le fasi processuali di un procediento penale, a parte la serie dei film "Il Capo dei Capi", che come vedremo porta a conclusioni opposte a quanto qui affermato dal sottoscritto.

Eppure la Magistratura italiana afferma decisamente che il sistema processuale italiano sia il migliore, il piu' garantista, rispetto a quello americano, in cui esisterebbero delle ragioni inconfutabili, secondo le quali il processo americano risulterebbe condizionato dall'influenza del potere esecutivo, e dalla politica locale, mentre in Italia tali influenze sarebbero inesistenti a causa della presenza di un organo di autogoverno, il Consiglio Superiore della Magistratura, di rilevanza costituzionale, quale baluardo a difesa del potere giurisdizionale, rappresentato dall'insieme dei magistrati.

Io non sarei proprio d'accordo perche', se per principio la Giustizia dovrebbe essere concepita per la tutela dei diritti di coloro che sono piu' deboli, le lungaggini spropositate della giustizia italiana posson portare ad un risultato abnorme ed in contrasto con tali principi.

Al contrario, negli USA, per quanto vi possa essere un potere politico locale, ed un potere esecutivo in grado di condizionare l'operato dei magistrati, eletti di norma dal popolo locale, l'assoluta parita' tra difensore e prosecutor, sotto la guida di un giudice imparziale, unita ad una evidente rapidita' ed efficienza del sistema processuale penale, ritengo che siano espressione una garanzia di gran lunga superiore, a quella italiana, di giustizia.

Certo e' che comunque nessun sistema e' perfetto, ma la differenza la fanno rapidita' ed efficienza.

Non voglio comunque scendere in ulteriori dettagli rispetto alle questioni relative alla politicizzazione della Magistratura italiana, che ho trattato in altri articoli del blog, ma rimane il punto focale, forse collegato al tema del potere autoreferenziale, e che ha a che fare con le lungaggini dei procedimenti penali italiani.

Dal che emrge prepotentemente un'ipotesi che non pare peregrina, e cioe' che in Italia non si debbano sceneggiare film ambientati in Italia, e che possano avere per oggetto fasi processuali, e che, di conseguenza facciano apparire de plano al pubblico televisivo italiano come siano evidenti le lungaggini processuali dei procedimenti penali italiani, potendosi in tal modo creare una notevole frattura tra consenso popolare e Magistratura, e cioe' tra politica e Magistratura.

Ne consegue che la Magistratura sembra che non voglia assolutamente che la gente sia cosciente di tali lungaggini perche' desidera continuare a goidere dei suoi privilegi in termini di orari di lavoro, ovvero di impegno lavorativo.

Accade allora che il popolo bue, lobotomizzato da un celato accordo tra magistratura e produttori di film italiani, o direzioni televisive nazionali pubbliche e private, sia indotto a percepire il modello del processo penale americano, come uno standard che sia comune ai paesi occidentali, per evitare che il popolo medesimo possa scorgere qualsiasi differenza tra i due sistemi processuali che possa mettere in dubbio la credibilita' della Magistratura italiana.

Ma ormai la frattura tra consenso popolare e Magistratura e' in fase di aggravamento proprio a causa degli scandali venuti alla luce ultimamente, grazie ai dissidi interni all'Associazione Nazionale Magistrati ed al Consiglio Superiore della Magistratura, onde sarebbe anche ora che i produttori di film italiani si rendano indipendenti dall'inflenza della Magistratura stessa.

I produttori di film avrebbero da guadagnare alla grande, con l'individuazione di un nuovo filone che renderebbe entusiasta il pubblico televisivo italiano.

Il probabile effetto indiretto di tale scelta potrebbe condurre alla promulgazione di leggi aventi ad oggetto tempestivita', efficienza e rapdita' dei procedimenti penali italiani, contro gli stessi interessi della Magistratura italiana, la quale inizialmente sarebbe tentata di opporsi ad un tale aggiornamnento del sistema, per poi capire che, soprattutto per questioni economiche di bilancio dello Stato, non si potrebbe fare altrimenti.

In conclusione vorrei ricordare che il Grande Fratello ha dato la possibilita', con la serie televisiva Il Capo dei Capi, di sceneggiare anche il processo a piu' di 400 mafiosi, presso l'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo, avvenuto nella realta' tra il 1986 e il 1989, solo perche' il pubblico televisivo avrebbe rilevato come le ragioni della lunghezza di un tale processo fossero dovute al numero degli imputati di mafia, proprio allo scopo di dare in pasto l'idea della rapidita' dei processi italiani.

In realta' tale processo, nonostante l'elevato numero degli imputati, si e' svolto in tempi piuttosto rapidi per altri motivi, dovuti innanzitutto al clamore internazionale suscitato da tale processo, dalla presenza di televisioni provenienti un po' da tutto il mondo ed infine dal modo con cui sono stati utilizzate le dichiarazioni dei pentiti, che hanno fatto da spartiacque tra il modo di procedere precedente e quello che essi hanno autorizzato a fare.

Ed in ogni caso, le cose da allora, non e' che siano cambiate, sono rimaste le stesse, fino a quando  il Ministro Carlo Nordio non mettera' mano ad un ampia riforma, che possa trasformare il CSM, con l'elezione paritaria del numero dei membri laici eletti dal Parlamento, in una specie di contraltare da opporre al potere dell'ANM.