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Brescia,

Sembra che non esista alcuna politicizzazione nella Magistratura

Secondo la maggioranza dei magistrati non esiste alcuna politicizzazione all’interno della magistratura e dei suoi organi elettivi.

La prova madre secondo la quale la magistratura non e’ politicizzata consiste nell’esistenza e nell’operativita’ dell’ANM, che rappresenta un baluardo per la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati la garanzia per un  processo giusto per i cittadini, che sia scevro da influenze politiche.

Ma a parte l’influenza politica, e’ proprio la garanzia del giusto processo a venir meno quando vengano lesi i diritti alla difesa.

La maggioranza dei magistrati replica, alle accuse di politicizzazione, che la polemica sia strumentale, perche’ non si tratta tanto di correntismo ma di un’inevitabile e sano pluralismo, indice di dinamismo delle logiche democratiche, anche in seno agli organi dei magistrati.

Infatti le correnti ideologiche ci sono sempre state e sono conseguenza del normale pluralismo di pensiero, che non corrisponde alla suddivisione partitica parlamentare.

E cio’ vale anche per il CSM, i cui componenti non sono eletti ne’ lottizzati secondo le percentuali politiche parlamentari.

Secondo Edmondo Bruti Liberati, autorevole magistrato, e Luca Palamara, ex magistrato escluso poi dal CSM, l’ANM, a prescindere dalle correnti interne, rappresenta una tipica espressione di pluralismo come comune riferimento di tutti i magistrati in Italia, in grado di far prevalere sempre la logica del ruolo istituzionale rispetto alle logiche delle divisioni interne generali.

Il principio della tutela del pluralismo, cardine degli ordinamenti costituzionali e democratici, si oppone totalmente alla visione di una magistratura costretta nei limit di un blocco omogeneo di pensiero, virtualmente funzionale agli interessi del potere politico dominante.

Ancora la divisione in correnti e’ espressione di un pluralismo che caratterizza l’insieme della magistratura, ma che non corrisponde assolutamente alla suddivisione politica nazionale parlamentare.

I valori e le guarentigie della giurisdizione non sono categorie riservate ad una casta ristretta di addetti ai lavori, ma sono prerogative di tutti i cittadini, che, come tali devono concepirle, conoscerle e difenderle.

Mi sembra che una frase del genere sia piuttosto una dichiarazione roboante senza reali contenuti concreti.

Il pluralismo reale immanente nell’ordine non puo’ essere considerato una  una sorta di correntismo partitico, ma invece e’ un fattore fecondo di crescita ideale e professionale.

Certamente in seno alle correnti presenti nell’ANM possono emergere delle disfunzioni, ma tali problematiche possono essere riportate alla loro piena funzionalita’ senza che voi sia alcuna compromissione dei principi che ne stanno a fondamento.

Tuttavia si parla di ventilate riforme volute dl Ministro Carlo Nordio, del sistema elettorale, per il rinnovo del CSM, con la creazione futura di due CSM, in funzione dei magistrati giudicanti e di quelli inquirenti, quindi con la separazione delle carriere, che lasciano intravvedere la volonta’ politica di riportare la magistratura ad un blocco omogeneo funzionale agli interessi del potere politico dominante, anche se cio’ non sembra essere il disegno specifico del Ministro citato.

Queste critiche contro la riforma voluta dal nuovo Guardasigilli sembrano piuttosto un esercizio di stile di bella scrittura che elenca dei sani principi, ma che poi cozza contro la realta’, tanto che tale realta’ era gia’ stata evidenziata nel 1947, in sede di assemblea costituente, quando c’e’ stato proprio chi, in volle paventare, ma senza avere successo, il pericolo per l'indipendenza e l'autonomia interna dei singoli giudici, proponendo che nel CSM vi fosse la parita' tra membri togati e membri laici, proprio allo scopo di evitare che il CSM potesse divenire un organo, intorno al quale si formassero coalizioni, intrighi, preferenze e protezioni, proprio come e’ accaduto fin dal 1976.

Un autorevole magistrato, Gian Carlo Caselli, ritiene che non si possa assolutamente parlare di politicizzazione della magistratura, e che le toghe rosse non sono mai esistite (anche se forse con il caso Berlusconi, probabilmente si sono aperti dei forti contrasti, essendo stato letteralmente buttato fuori dal Parlamento, grazie ad una congiura di palazzo, ordita proprio da dei magistrati, per non parlare dei magistrati che hanno cercato vanamente di buttare fuori Matteo Salvini dal governo qualche anno fa, come risulta da delle intercettazioni telefoniche a carico di un ex presidente del CSM).

Secondo tale opinione, se proprio si vuole parlare di politicizzazione bisogna fare riferimento agli anni 60, nei quali la magistratura costituiva un corpo burocratico chiuso, collocato nell’orbita del potere politico.

In base ad un’altra opinione, quella di Piercamillo Davigo, non vi e’ alcuna politicizzazione ma solo indipendenza ed autonomia dai poteri esecutivo e legislativo; infatti il sistema e le sue guarentigie permettono ai magistrati di essere indipendenti dal peso dell’opinione pubblica e dalla maggioranza politica  ed governo.

Non esistono guarentigie in funzione dell’indipendenza dalle minoranze politiche parlamentari, poiche’ queste, manifestando i loro orientamenti in termini di opposizione alla maggioranza di governo, sono utili a mantenere i magistrati indenni dalle pressioni che possono derivare dal potere esecutivo.

E questo perche’ la Costituzione dichiara espressamente che i giudici sono soggetti soltanto alla legge.

L’indipendenza dei magistrati viene persino accentuata dal fatto che i giudici dei singoli paesi sono innanzitutto giudici dell’Unione Europea ed in secondo luogo giudici nazionali.

Percio’ i compiti che caratterizzano l’indipendenza dei giudici derivano dalla Costituzione e dalle norme costitutive dell’Unione Europea.

Secondo l’opinione del magistrato Piercamillo D’Avigo e’ necessario ribadire che la magistratura rappresenta un ordine indipendente da ogni altro potere ma anche che ogni singolo magistrato e’ indipendente all’interno dell’ordine giudiziario.

Come sia armonizzabile tale principio con i fatti concreti in cui un magistrato giudicante, invece di essere super partes, si veda cadere sotto l’influenza di un pubblico ministero, e’ un dato che mi riesce difficile da comprendere, come nel caso del Dott. Giuseppe Traversa.

Dal medesimo magistrato e’ stata manifestata un’idea che ha un qualcosa di veramente fuorviante.

Infatti il medesimo distingue i processi decisionali, all’interno degli organi statali a seconda che si sia in presenza di una minore od una maggiore discrezionalita’ amministrativa.

Solo che secondo l’opinione prevalente della giurisprudenza e della dottrina di diritto amministrativo, non puo’ essere la minore o maggiore discrezionalita’ amministrativa il fulcro che condiziona la connotazione dell’attivita’ giuridica rispetto a qualsiasi altra attivita’.

Infatti trattasi tutte di attivita’ amministrative che fanno capo comunque a dicasteri ministeriali.

Il fatto che il giudice sia soggetto soltanto alla legge nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, non vuol assolutamente dire che il suo comportamento non possa essere oggetto di censure quando esso sia deviante rispetto alle direttive del CSM o del Ministro di Grazia e Giustizia.

Ma entriamo meglio nel dettaglio delle opinioni di questo magistrato.

Secondo Piercamillo D’Avigo, ex componente del Pool di Mani Pulite, esistono due sistemi che regolano la gestione dei diritti da parte dello Stato.

Il primo e’ quello del semplice ordine che viene impartito su scala gerarchica fino all’esecuzione, in cui non esiste alcuna discrezionalita’’ (salvo i casi specifici di discrezionalita’ amministrativa, che non rientrano nella giurisdizione, come ad esempio, la valutazione degli immobili, nel caso dell’ormai decaduta tassa sull’INVIM)

Questo e’ il sistema con il quale opera la pubblica amministrazione.

Questo sistema viene avvicinato dal citato magistrato a quello utilizzato nelle economie a pianificazione centrale.

Direi che un simile accostamento sia piuttosto equivoco, perche’ nelle economie centralizzate la parte preponderante delle decisioni ha riguardo alla ricerca della allocazione delle risorse, mentre l’esecuzione di un ordine amministrativo in tali realta’ e’ piuttosto simile all’esecuzione di ordini compiute nelle economie di mercato.

Facciamo il classico esempio della disciplina militare, la quale prescinde da qualsiasi riferimento ad economie centralizzate o alle economie di mercato.

Questo per dire che se le esigenze di una rapida e fattiva esecuzione di un ordine lo richiedono, quale che sia il regime dell’economia dello stato in questione, tali esigenze fanno riferimento ad una categoria ormai a se’ stante, che non puo’ avere nulla a che fare con la struttura delle economie pianificate.

Il magistrato continua affermando che il sistema di ordini vigente nella pubblica amministrazione (quindi avvicinato al sistema di gestione delle economie pianificate) e’ un sistema non idoneo a gestire le situazioni complesse, poiche’ il problema, in questi casi non puo’ essere risolto da un unico centro che impartisce gli ordini a tutti.

Percio’ se anche la magistratura fosse organizzata gerarchicamente, ogni magistrato sarebbe tenuto ad ubbidire agli ordini del superiore, onde la magistratura stessa diverrebbe rigida come le altre amministrazioni statali e non si avrebbe piu’ quella duttilita’ che e’ invece tipica della giurisdizione rispetto all’amministrazione.

Percio’ nell’ambito della magistratura abbiamo un sistema totalmente diverso da quello utilizzato dalla pubblica amministrazione.

Infatti nel primo la gestione dei diritti dei cittadini si basa sulla raccolta delle loro istanze e sul tentativo di ricondurle ad unita’ cercando di razionalizzarle, essendo spesso tra di loro contrastanti perche’ ciascuna portatrice di interessi confliggenti con le altre.

Infatti i giudici ricevono domande civili, denunce e querele penali, e si ritrovano sul tavolo delle esigenze contrapposte.

Quindi sono tutte situazioni complesse che non possono essere risolte da un unico centro decisionale, che possa imporre gli ordini per tutti i funzionari periferici, ed in cotale guisa la giurisdizione ha dotato tutti questi centri periferici di autonomia ed indipendenza decisionale.

Quindi la caratteristica principale della giurisdizione e’ la sua duttilita’ rispetto alla rigidita’ della pubblica amministrazione.

In pratica si utilizza questo argomento della duttilita’ per giustificare anche una teorica indipendenza di ogni singolo magistrato all’interno dell’ordine giudiziario, o anche all’interno di un tribunale o di un altro ufficio giudiziario.

Un’indipendenza teorica perche’ poi nella pratica le cose cambiano notevolmente, come nel caso del Dott. Giuseppe Traversa, in cui un magistrato super partes giudicante, ha agito secondo le direttive di un pubblico ministero.

A me pare che questo argomento della duttilita’ porti a delle estreme conseguenze, secondo le quali i giudici dei due ordini, giudicante ed inquirente, o requirente che sia, non possano essere sottoposti ad alcun procedimento o accusa, che poi preveda una loro responsabilita’ civile per i danni causati da dolo, colpa grave od anche colpa lieve.

Questa duttilita’ sarebbe concepita proprio per difendere a spada tratta l’indipendenza dei magistrati. 

Ed avrebbe il suo contraltare nella giustizia civile, ove troviamo la grande differenza tra obbligazione di servizio ed obbligazione di risultato.

Ed e’ proprio perche’, ad esempio, la difesa di un avvocato rientra proprio nelle obbligazioni di servizio e non di risultato, allo stesso modo, con il quale un avvocato non possa essere perseguito in quanto non ottenga il risultato sperato dalla parte difesa, purche’ abbia agito secondo i canoni tipici del dovere di assistenza legale, tutelati dall’ordine degli avvocati, cosi’ si ritiene che il giudice non possa essere ritenuto responsabile per i danni causati da un giudizio penale pretestuoso ed infondato.

Non v’e’ chi non veda come questa opinione non possa essere assolutamente accettata, in quanto le decisione errate dei giudici e dei pubblici ministeri possono comportare anche dei danni permanenti non solo sulle persone assolte che abbiano subito la detenzione, che devono essere risarcite dallo stato, ma anche su quelle non detenute, le quali devono sperare di essere assistite da un avvocato che abbia voglia di mettersi contro l’ordine giudiziario, pur di far valere le ragioni del suo difeso, cosa che non accade direi mai, e che invece adesso, con la prospettata riforma della separazione delle carriere, sembra piuttosto fattibile, anche se in un futuro non molto prossimo.

Pertanto, con riferimento al caso del Dott. Giuseppe Traversa, emerge un risultato in cui i danni subiti da questi sono in conseguenza della diretta influenza del pubblico ministero sul magistrato giudicante.

Ed in tal caso io non vedo alcuna indipendenza del giudice, pretesa all’interno di un ufficio giudiziario, come il Tribunale, che avrebbe dovuto essere garantita dalla sua terzieta’.

Anche in questa ricercata indipendenza dei magistrati alla luce della presunta duttilita’ sembra che si sia difronte ad un mero esercizio di stile, in cui si enunciano dei bei principi, che poi cozzano contro la realta’, senza che esista alcuna forza legislativa cogente, o nessuna volonta’ difensiva che voglia impegnarsi per la loro piena applicazione.

Il magistrato continua dicendo che la magistratura negli anni ha visto crescere sempre di piu’ la sua indipendenza anche se in certi casi ci sono stati magistrati meno indipendente degli altri, e, a parte cio’ esistono le garanzie che mettono al riparo i magistrati dagli attacchi dell’opinione pubblica, dei partiti e del potere esecutivo, terminando con il dire che lui e’ arrivato ad essere componente della Corte di Cassazione, nonostante abbia sostenuto l’accusa in processi che hanno perseguito importanti esponenti politici.

Il protagonismo duttile di Pier Camillo D’Avigo e’ stato punito con un processo a suo carico per rivelazione non autorizzata di segreto di ufficio.

Un componente laico del CSM, il senatore Guido Calvi, pur sostenendo l’esistenza di una certa politicizzazione nella magistratura, ritiene che la situazione italiana non sia l’unica.

Infatti il problema della politicizzazione dipenderebbe dalla mancata piena applicazione della suddivisione netta dei tre poteri dello stato in tutte le democrazie, sia quelle occidentali che quelle dell’est, come riformate dopo l’appartenenza al patto di Varsavia.

Il principio della divisione dei poteri, pur essendo un obiettivo ideologico necessario per la piena applicazione dei principi democratici, sarebbe impossibile da realizzare.

Secondo il senatore lo scontro istituzionale tutt’ora in corso tra potere politico e giurisdizione rappresenta un vulnus per lo stato di diritto, in cui il principio ideologico della divisione dei poteri, pur non essendo mai stato pienamente realizzato in nessun paese, in quanto, ad esempio, in Italia, il governo esercita in parte anche il potere legislativo, mentre in parte il Parlamento esercita quello giuridico, il potere rappresenta una meta a cui e’ necessario tendere.

Per poter raggiungere un tale scopo esistono dei poteri di controllo, che vengono esercitati esclusivamente nei processi.

Ed a seguito di tali processi pare che sia emerso il risultato che alcuni politici di un certo rango, italiani, siano riusciti a modificare le leggi in modo da ottenere una scappatoia processuale, cosa che in altri paesi non pare che sia mai accaduta.

Personalmente non mi risulta che una tal cosa si sia mai verificata in Italia, ed eventuali disegni legislativi, presunti a favore di Berlusconi, sono stati utilizzati come argomenti strumentali atti a fare inutili polemiche, considerando poi quello che e’ accaduto, con la sua esclusione dal Parlamento in forza di una norma penale con efficacia retroattiva, un caso davvero raro in una repubblica democratica.

Un magistrato gia’ citato, ex presidente dell’ANM, che ricordo per la sua autorita’, per essere stato il mio esaminatore nell’esame di Diritto Amministrativo, il Prof. Edmondo Bruti Liberati, ritiene che le garanzie dei magistrati giudicanti, estese ai magistrati inquirenti, rappresentino un esempio di completa autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale.

Infatti, secondo il magistrato, l’attuale assetto della magistratura italiana e’ quello che garantisce maggiormente l’autonomia e l’indipendenza dei giudici, ed in particolar modo quella dei pubblici ministeri, concio’ rappresentando una maggiore garanzia di obiettivita’ nei confronti dei diritti dei cittadini.

Quindi tale assetto e’ considerato, dalle magistrature degli altri paesi democratici occidentali e non,  alla stregua di una linea di tendenza, per gli elevati livelli di autonomia ed indipendenza, goduti dalla magistratura italiana, e realizzati con il fine di una piena divisione tra i poteri dello stato.

L’assetto italiano che estende le garanzie dei magistrati giudicanti a quelle dei magistrati inquirenti rappresenta quindi un esempio per tutte le altre democrazie, le quali stanno cercando tendenzialmente di assimilare le garanzie di indipendenza del pubblico ministero a quelle dei magistrati giudicanti.

Tuttavia bisogna registrare una tendenza che non e’ solo italiana, alla separazione delle carriere, e cio’ sara’ una riforma che vedra’ la luce nella prossima primavera, stando alle parole del Ministro di Grazia e Giustizia Carlo Nordio.

Ed infatti tale riforma si inserisce in un contesto che si propone di eliminare alla radice cio’ che in parte e’ stato gia’ eliminato con l’impossibilita’ di passaggi tra l’una e l’altra delle carriere di giudicante e di inquirente.

Questa necessaria specializzazione consentirebbe una reale difesa dei diritti della difesa e porterebbe finalmente al giusto processo e ad una reale garanzia per i diritti dei cittadini.

Mentre, a parere dell’opinione del citato magistrato, l’estensione delle stesse garanzie a magistrati inquirenti e giudicanti, tutti inseriti nella medesima carriera, basterebbe da sola a garantire i diritti dei cittadini. 

A me sembra che una tale frase possa pienamente essere smentita da quanto accaduto nel caso del Dott. Giuseppe Traversa, in cui l’autonomia e l’indipendenza dei pubblici ministeri si e’ talmente estesa al punto di travalicare i suoi limiti, fino a sfociare nell’intrusione delle funzioni di un magistrato giudicante.

Mi pare che questa indipendenza ed autonomia dei giudici venga utilizzata come strumento che giustifichi la lesione dei diritti delle persone ingiustamente accusate di reato, che poi si vedano assolte dopo anni di sofferenze inenarrabili e di danni che allo stato degli atti non sono risarcibili, proprio come nel caso del Dott. Giuseppe Traversa.

Ma ancora si sostiene che l’accusa di politicizzazione venga smentita di per se’ solo dal fatto che la garanzie di indipendenza, autonomia ed imparzialita’ dei giudici, siano rafforzate dal fatto che la nomina dei giudici sia basata su concorso pubblico e titoli.

A giustificazione di un tale argomento si prende ad esempio l’elezione di magistrati in USA, i quali vengono eletti a suffragio locale tra gli avvocati piu’ prestigiosi, e lo sono in quanto rappresentanti di un orientamento politico che sia tendente ad un tipo di giustizia radicale oppure al suo opposto, una giustizia tendenzialmente tollerante per i reati piu’ lievi.

A me non sembra che la nomina per titoli e concorso sia un grande argomento, ed infatti ne parlo diffusamente nel presente articolo.