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Brescia,

La separazione tra le carriere di magistrato giudicante e magistrato inquirente

In generale si puo' affermare che il principio della separazione delle carriere abbia quale effetto diretto quello di riaffermare il principio della terzieta' del magistrato giudicante.

Questa terzieta' ha come scopo quella di evitare accordi sottobanco tra giudicanti ed inquirenti, che mirino a riconfermare la paternita' di un'inchiesta in capo ad uno specifico magistrato inquirente, soprattutto quando si siano esauriti i tempi concessi per le indagini, e/o non esistano piu' i presupposti sostanziali per continuare un'indagine.

E questo frangente fa riferimento all'indipendenza ed all'autonomia dei singoli magistrati, considerate in un procedimento penale, o indipendenza ed autonomia interna.

Nello stesso senso la separazione e la terzieta' mirano ad evitare che vi siano rapporti talmente stretti tra giudicante ed inquirente, che possano condizionare l'esito di un procedimento penale, e che quindi impongano al magistrato giudicante di doversi astenere, allo scopo di rimettere la causa ad altro magistrato giudicante.

Allo stato degli atti non so se quest'ultimo aspetto verra' regolato in tal modo dalla riforma della separazione delle carriere, anche se mi aspetto che lo sia, perche' ha assurto ad una notevole importanza, proprio perche' la sua definizione implica la formulazione del grado di terzieta' del magistrato giudicante.

Dicevo che la separazione delle carriere mira a tutelare l'indipendenza e l'autonomia dei giudici anche dal punto di vista esterno, in quanto mirante ad evitare che possano crearsi situazioni di casta, che traviserebbero il vero significato di indipendenza ed autonomia.

Tralasciando questo secondo punto ed entrando proprio nel vivo dell'indipendenza ed autonomia interna, la riforma del sistema giudiziario, nel senso della separazione delle carriere, dovrebbe eliminare la possibilita' di accordi interni tra giudicanti ed inquirenti, aventi ad oggetto la piu' o meno colpevolezza di un imputato, allo scopo di riconfermare e riaffermare con decisione il principio della terzieta' del magistrato giudicante.

Tale riaffermazione ha il fine precipuo di eliminare alla radice tutta la prassi giudiziaria che si e' stabilizzata nel corso di 70 anni, nonostante le istanze della riforma del 1990.

Dobbiamo partire da un punto fondamentale, e cioe' che l'Italia, paese che fino a qualche tempo fa veniva considerato quale quinta potenza mondiale, ha un ordinamento giudiziario che rasenta quello di un paese del terzo mondo.

Infatti rappresenta l'unica nazione al mondo ove il magistrato inquirente abbia dei poteri notevoli, senza avere alcuna responsabilita', proprio perche' la sua funzione di reperire fonti di prova, in teoria positive o negative per l'imputato, e' asettica poiche' da un lato si caricano di responsabilita' gli agenti di polizia giudiziaria, e dall'altro il magistrato inquirente, e' si capo della polizia giudiziaria, ma e' dotato delle garanzie di un magistrato, le quali sono previste dalla Costituzione all'art. 104.

Invero si puo' in teoria benissimo ravvisare eventualmente anche una responsabilita' del magistrato inquirente per dolo o colpa grave, ma in pratica questa, da un lato, e' molto difficile da azionare, anche per una certa ritrosia degli avvocati stessi, e da un altro lato e' piuttosto difficile accertarla, ed una volta accertata e' ancora difficile se non addirittura impossibile che un magistrato inquirente possa o voglia inquisire un altro magistrato inquirente per dolo o colpa grave, nell'avere sottoposto un imputato alle vessazioni e persecuzioni, subite nel corso del procedimento a suo carico, e dal quale sia stato, assolto.

Ma, in attesa di tempi migliori, che possano individuare meglio tali responsabilita', sia dal punto di vista sia legislativo, che da quello della sua azionabilita', sulla base delle prove acquisite, si puo' fare un qualcosa che sia piu' alla portata immediata, e cioe' evitare che si possano riprodurre proprio quelle situazioni di accordi sottobanco fra giudicanti ed inquirenti.

E di che cosa sto parlando?

Di alcune conseguenze necessarie della separazione delle carriere.

Prima di entrare nel vivo possiamo pensare alla separazione delle carriere come una riforma, basata sulla legislazione ordinaria, che poi possa benissimo essere abrogata, in un futuro vicino oppure lontano, oppure sulla base di una modifica della stessa Costituzione, gia' piu' difficilmente rimuovibile.

Tutto questo discorso solo per dire che comunque il principio della separazione delle carriere non e' questione che sia rinviabile o negoziabile, ma va fatta al piu' presto, anche se solo con legge ordinaria.

E questo perche' e' necessario celermente qualificare nella loro giusta portata, i poteri della magistratura inquirente, ai fini della certezza del diritto e della pena, ma anche della tempestiva assoluzione di chi non ha mai commesso reati.

Come gia' anticipato in una precedente pagina, l'Associazione Nazionale Magistrati (ANM) sta duramente contestando il disegno di legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, in quanto con la paventata separazione delle carriere si attuerebbe una vera e propria ingerenza della politica, con l'assoggettamento dei pubblici ministeri al Governo, e quindi al potere esecutivo.

In tal modo si avrebbe, secondo il parere dell'ANM, il totale azzeramento dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, tanto auspicate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Quindi secondo l'ANM se andasse in porto la riforma sulla separazione delle carriere il pm finirebbe sotto il controllo del potere esecutivo.

Si vuol controbattere a tale opinione che il principio della separazione delle carriere mira a garantire il principio, blandamente affermato con la riforma penale del 1989, della terzieta' della magistratura giudicante, e della piena parita' tra accusa e difesa, requisiti del nuovo sistema accusatorio italiano, rispetto al precedente e vigente sistema che poteva essere considerato misto in quanto avente i requisiti dell'uno, inquisitorio e dell'altro sistema accusatorio.

Ma non solo, perche' per confutare un tale argomento, basterebbe ricorrere all'art. 104 della Costituzione, il quale recita che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.

Poiche' la magistratura e' composta da magistrati giudicanti e magistrati inquirenti, e questa equiparazione ha sorretto tutto il sistema giudiziario fin dalla sua fondazione con l'entrata in vigore della Costituzione Italiana, ne consegue che la magistratura inquirente, rappresentando un potere indipendente ed autonomo, alla stessa stregua della magistratura giudicante, non potra' mai essere dipendente dal potere esecutivo.

Eventualmente un cambiamento in senso contrario richiede un modifica della Costituzione, ottenibile con le maggioranze qualificate richieste dalla Costituzione stessa.

Una piccola modifica, che si e' prospettata per l'art. 104, in base ad una legge di iniziativa popolare, la quale e' stata fatta propria da tutte le proposte di legge ora depositate in Parlamento, prescriverebbe, con un'ulteriore precisazione, a difesa di indipendenza ed autonomia della magistratura, che l'ordine giudiziario sia costituito dalla magistratura giudicante e dalla magistratura requirente e che sia autonomo ed indipendente da ogni altro potere, e cio' si prospetta come una specie di conferma di come l'ordine giudiziario sia gia' stato costituito fin dal vigore della Costituzione Italiana.

E' necessario, per fare chiarezza, un piccolo riferimento al panorama internazionale, senza entrare nel vivo delle legislazioni nazionali, facendo riferimento alla summa divisio tra paesi di tradizione romanistica continentale e paesi di tradizione anglosassone, anche se poi la tradizione romana continentale non sia stata piu' rispettata, se non dall'ordinamento giuridico francese.

Occorre procedere ad una ulteriore suddivisione, e cioe' paesi che hanno un ordinamento giuridico penale basato sul sistema inquisitorio, e paesi che fanno riferimento ad un ordinamento basato sul sistema accusatorio.

Nei paesi a tradizione romana continentale, l'impianto processuale si basa sul sistema misto, ed in Italia, prima della riforma del 1990, la figura piu' rappresentativa di un tale sistema, come si ricordera', era quella del giudice istruttore, il quale, come si ricorda, aveva funzioni di pubblico ministero ed anche di giudice.

In tale ambito un ordinamento a carriera unica aveva una sua precisa coerenza, in quanto, le figure giudiziarie potevano alternarsi senza tanti problemi, e quindi il passare da una carriera inquirente ad una giudicante era una possibilita' senza alcun limite.

Con la riforma del sistema giudiziario del 1990 anche il sistema italiano divenne totalmente accusatorio, onde sorse l'esigenza di attribuire un carattere marcato di terzieta' ai magistrati giudicanti, e di attribuire delle funzioni specifiche e caratterizzanti ai magistrati inquirenti.

Poiche' tale riforma non ebbe piena applicazione, attualmente si e' iniziato a capire che l'unico modo per far evolvere il sistema in quella direzione e' quello della separazione delle carriere.

Ma quello che piu' importava di questa riforma era l'esigenza di certezza, a cui tutti gli imputati avevano diritto, a prescindere dall'essere assolti o condannati, proprio perche' tale sistema introdusse il principio che un imputato si considera innocente fino alla prima sentenza passata in giudicato.

Non e' certo solo quel principio che veniva in evidenza.

Infatti con la riforma del 1990, che ha preso spunto dall'esempio piu' noto, e cioe' il sistema accusatorio degli Stati Uniti d'America, si e' inteso fare in modo che certe prassi, ricollegabili ad accordi interni fra magistrati, venissero eliminate per sempre, perche' considerate poco etiche, anche se giustificate dagli orientamenti espressi dall'ANM e dal CSM.

Poco etiche perche' in primo luogo evidenziavano la volonta' della magistratura inquirente a non rinunciare all'enorme potere, di cui ha sempre goduto, e che si basa proprio sugli accordi interni tra giudicanti ed inquirenti.

Ed in questo frangente e' necessario evidenziare che esistono due gradi di indipendenza ed autonomia della magistratura.

Un primo grado fa riferimento all'indipendenza ed all'autonomia interna, mentre il secondo lo fa all'indipendenza ed all'autonomia esterna.

Senza dubbio queste ultime sono inevitabilmente certe perche' sancite dalla Costituzione, al citato art. 104, sia in versone originaria sia come progetto di riforma.

Vi sono invece molti dubbi riguardo a quella interna.

E c'e' proprio chi, in sede di Asseblea Costituente, ha voluto paventare senza avere successo, il pericolo per l'indipendenza e l'autonomia interna dei singoli giudici, proponendo che nel CSM vi fosse la parita' tra membri togati e membri laici, proprio allo scopo di evitare che il CSM potesse divenire un organo, intorno al quale si formassero coalizioni, intrighi, preferenze e protezioni.

Ma questo e' solo un primo aspetto dell'indipendenza ed autonomia dei singoli magistrati.

Ve n'e' un secondo, che attiene ai rapporti tra giudicanti ed inquirenti, che fossero appartenenti al territorio di competenza di uno specifico tribunale o corte d'appello, soprattutto quando vi fossero dei rapporti piuttosto stretti, per qualsiasi ragione, o magari anche amicizia o residenza in unico condominio, e magari l'inquirente avesse un grado piuttosto marcato di influenza sul giudicante.

Ebbene sono proprio questi gli aspetti che si mira ad eliminare con la separazione delle carriere e con una definizione ed applicazione piu' rigida del principio della terzieta' del magistrato giudicante.

E tutto cio' a garanzia di un processo veramente giusto, ove si applichi il principio, secondo il quale una condanna possa intervenire soltanto quando le prove di colpevolezza siano aldila' di ogni ragionevole dubbio.

Un tale principio non e' solo alla base dell'eliminazione della reformatio in pejus, secondo la quale il il sistema dovrebbe essere riformato in modo tale che il pm non possa piu' appellare le sentenze di primo grado che assolvano l'imputato, in quanto vi e' gia' un giudice, in primo grado, che ha espresso il suo dubbio riguardo alla colpevolezza del medesimo, fino al punto di assolverlo.

Quel principio dovrebbe mirare anche ad eliminare le scandalose prassi preferite da molti pubblici ministeri, se non dalla maggioranza, o magari anche dalla loro totalita', che possono essere denominate come trucchi del mestiere, ma che possano avere delle conseguenze oltremodo disastrose sulla tenuta psichica di un imputato, che poi sia stato assolto perche' innocente, arrivando a concludersi dopo anni un procedimento penale, che avrebbe potuto chiudersi in poche settimane.

Ed e' evidente, come vedremo, che tali prassi spesso non possono essere attivate senza la complicita' del magistrato giudicante.

Vedremo tali prassi nella seguente pagina.

Ed ecco che abbiamo messo in evidenza alcune ragioni che spingono verso l'introduzione della separazione delle carriere.

Percio' non ve' chi non veda come tale tanto desiderata riforma sulla separazione delle carriere non potra' mai portare il Presidente della Repubblica ad impedirne l'entrata in vigore.

Tuttavia, secondo l'ANM, il principio di parita' delle parti rappresenta una regola generale che si applica ad ogni processo, ma cio' non puo' comportare assolutamente che la funzione del pubblico ministero possa essere assimilata a quella dell'avvocato difensore, in quanto il primo difende interessi pubblici, quale organo di giustizia, come, ad esempio, nella raccolta delle prove, anche a favore del'imputato.

A parte che questo e' proprio il punctum dolens, cioe' cio' e' stato fatto piuttosto raramente, ed anzi non sembra che sia mai messo in pratica.

Ed e' questa la ragione principale che dovrebbe far riflettere, e cio' proprio allo scopo di potersi avere una piena parita' tra accusa e difesa, ma anche per potersi avere dei pubblici ministeri che siano pienamente responsabili e coscienti della necessaria tutela del diritto alla difesa dell'imputato.

Allora delle due l'una: o si applica la piena tutela dei diritti di difesa oppure si e' costretti ad accettare la piena equiparazione tra accusa e difesa.

Ovviamente sembra che pretendere la prima scelta sia veramente una questione molto complicata, soprattutto quando si verta in processi penali in cui si debba procedere contro una vasta serie di criminali organizzati, considerati i tempi di indagine sempre piu' ristretti, a causa della molteplicita' degli imputati

Ma, in mancanza di tali difficolta', bisognerebbe che si giungesse all'applicazione di tale principio.

Una parte del nuovo ordinamento giudiziario e' gia' in vigore nella parte che limita il passaggio di funzioni da pm a giudice e viceversa, ad una sola possibilita'.

Questo e' stato fatto per dare una chance in modo da poter ripensare alla propria carriera.

Tuttavia si auspica con l'entrata in vigore del disegno di riforma si riesca a porre le basi affinche' un magistrato maturi, gia' in sede di scelta iniziale, quello che sara' il suo futuro, senza alcuna possibilita' di ripensamento.

E questo anche per evitare sprechi di risorse, anche economiche, ed a livello organizzativo.

Quindi il proposito e' di rendere definitiva la scelta.

Ma e' proprio tale disegno che viene contestato dall'ANM, in quanto in esso viene finalmente imposto il divieto per i pubblici ministeri di diventare magistrati giudicanti.

E qui si nota una netta presa di posizione del disegno di legge a favore di cio' che potrebbe definirsi una piccola infiltrazione dei principi del sistema giuridico anglosassone.

Quest'ultimo, come tutti sanno, rappresenta l'esempio piu' evidente che si differenzia dal nostro sistema continentale romanistico, soprattutto nella previsione della nomina di giudici di ogni grado tra le fila degli avvocati piu' prestigiosi, evitandosi di ricorrere al pubblico concorso.

A tal riguardo cio' che si critica maggiormente nella questione delle separazione delle carriere, e' che se da un lato si vuole impedire ai pubblici ministeri di passare alla carriera di magistrati giudicanti, dall'altro si desidera accogliere gli stessi avvocati tra le fila dei magistrati giudicanti, come se i pubblici ministeri non siano in grado di garantire la necessaria imparzialita' di chi persegue interessi pubblici, rispetto a chi invece, in qualita' di avvocato, difenda degli interessi privati.

A me pare che le questioni, piu' che di principio e di concetto, siano espressamente lessicali, a nulla rilevando cio' che sia a monte, in quanto, ragionando nel concreto, c'e' chi difende un imputato e c'e' chi lo accusa, difendendo sì un interesse pubblico, ma in termini molto piu' ristretti di quanto possa fare un magistrato giudicante, il quale infine deve pronunciare una condanna.

Infatti ragionando altrimenti si avrebbe come l'impressione di avere una stessa doppia competenza di due persone diverse, che accusano e giudicano al contempo, ricordando qui come lo stesso magistrato giudicante possa benissimo aggravare la pena richiesta dal pubblico ministero, anche se cio' sia oggetto di un probabile futuro disegno di legge che ne ridimensioni la portata.

Quindi si finirebbe per avere uno sbilanciamento dell'equilibrio processuale a sfavore dell'imputato, proprio cio' che si vuole evitare, e che si puo' constatare come cio' sia spesso accaduto, con ben due giudici coalizzati a sfavore dell'imputato, un magistrato giudicante ed un magistrato inquirente.

A questo punto si ritiene che una maggiore celerita' dei procedimenti non possa che nascere dalla maggiore specializzazione ottenuta nella continua esperienza.

E questo mi sembra che rappresenti la motivazione principale che giustifichi il divieto all'accesso del pm alla carica di magistrato giudicante e viceversa.

Anche nella pagina precedente ho parlato di ridimensionamento del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, sulla falsa riga del sistema giuridico anglosassone, anche se l'ambito di applicazione di tale principio non sia allargato alla competenza dei pubblici ministeri, ma sia ristretto alla tipizzazione ex lege.

Tra le future norme contestate dall'ANM vi e' poi anche l'aumento dei membri di nomina politica fino alla meta' in entrambi i due Consigli Superiori, dei giudici e dei pm, con l'elezione a sorteggio per l'individuazione dei consiglieri togati fino alla meta', il divieto di esprimere opinioni e pareri sulle riforme del sistema giuridico, il divieto per i due Consigli di aprire pratiche a tutela dell'indipendenza del singolo magistrato.

Tra le riforme gia' in vigore possiamo annoverare la legge elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura e la sua composizione, che, come sappiamo, si distingue in due Consigli Superiori della Magistratura, dei quali uno composto dai magistrati giudicanti e l'altro dai magistrati inquirenti.