menu


Brescia,

La sentenza della Corte dei Conti che ha assolto Giuseppe Traversa



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA

Composta dai seguenti magistrati

Angelo GALLICCHIO    Presidente

Piero CALANDRA    Consigliere

Leonardo VENTURINI    Ref. relatore

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso, iscritto al n. 456\R del registro di segreteria, su istanza della Procura regionale, contro Brogiato Marco, domiciliato in Nogara, via P. Sterzi 20\B e Traversa Giuseppe, rappresentato e difeso dall'Avv.to Caterina Solimini, presso il cui studio, in Milano, V.le Regina Margherita 43, è elettivamente domiciliato.

Uditi alla pubblica udienza del giorno 13.1.1999 il Referendario relatore Dott. Leonardo Venturini, il Pubblico Ministero nella persona del Procuratore Regionale Dott. A. Mimmo, l'Avv.to Caterina Solimini per il Dott. Giuseppe Traversa.

Esaminati gli atti ed i documenti tutti della causa; ritenuto in

FATTO

La Procura regionale presso questa Sezione ha citato, con due distinti atti, in data 22.12.97 e 13.5.98, Traversa Giuseppe e Brogiato Marco, già dipendenti del Ministero delle Finanze, per sentirli condannare al pagamento della somma di £. 1.608.358.000, più rivalutazione e spese di giudizio.

L'Organo requirente imputa ai convenuti una condotta illecita causativa di danno all'erario sotto i seguenti profili:

a)    somme a titolo di rimborso IVA non dovute ed illecitamente erogate dall'Amministrazione finanziaria, con impossibilità di recupero;

b)    danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica dello Stato-Amministrazione finanziaria, c.d. danno morale (cfr. Cass. S. U. 21 marzo 1997, n. 5668).

L'azione della Procura ha tratto ispirazione e elementi di convincimento da fattispecie penale avente ad oggetto i medesimi fatti contestati ai citati.

In data 20.3.95, infatti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Mantova richiedeva il rinvio a giudizio (n. 2677/95 R.G.) nei confronti, tra gli altri, di Traversa Giuseppe, già ispettore capo Imposte e tasse sugli affari e Ispettore incaricato dell'Ispettorato compartimentale IVA, nonché di Brogiato Marco, impiegato dell'Ufficio IVA di Mantova, in relazione a fatti delittuosi afferenti la ricezione, in tempi diversi e con più azioni esecutive di un medesimo piano criminoso, di alcune centinaia di milioni, al fine di omettere i controlli sulle richieste di rimborso presentate da alcune società, compiendo atti contrari ai doveri d'ufficio, consistiti nel dar corso ai rimborsi IVA, pur conoscendone la illiceità.

Con sentenza di applicazione della pena patteggiata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., emessa il 25.3.1996 (n. 65/1996), dal GIP presso il Tribunale di Mantova, ai predetti, in relazione ai reati di corruzione e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, sono state applicate le pene di anni uno e mesi dieci di reclusione, pene sospese per entrambi.

In riferimento ai fatti oggetto del procedimento penale di cui sopra, la Direzione regionale delle Entrate per la Lombardia-Servizio Ispettivo, in considerazione della possibile coesistenza, accanto alla ipotizzata responsabilità penale, di una responsabilità amministrativo-contabile, dava incarico all'Isp. Sup. Dott. Giovanni Zangrilli di accertare gli eventuali danni erariali, causati dal comportamento dei nominanti dipendenti dell'Amministrazione finanziaria.

In esito all'istruttoria effettuata in via amministrativa l'Isp. Zangrilli redigeva in data 19.6.1995 apposita relazione, poi confermata da altra relazione a firma dello stesso in data 17.10.1996, dalle quali la Procura ha tratto la convinzione della sussistenza di rilevante danno erariale a titolo di rimborsi riconosciuti, liquidati e non dovuti, in relazione ai quali non è stato possibile ottenere la relativa restituzione, danno pari a lire 1.168.358.000.

In particolare, la vicenda in oggetto riguarda rimborsi IVA non dovuti e non reintroitati, che risultano essere stati illecitamente erogati, quanto a lire 497.564.000, alla Orlandelli Carni s.r.l. (rimb. 2° trim. 1991), società in liquidazione al momento dell'accertamento del danno e, quanto a lire 670.794.000, alla Sabbioneta Leasing s.r.l. (rimb. 2° trim. 1991), società in fallimento al momento dell'accertamento del danno. 

Per il recupero di tali ingenti somme non ci si è potuti rivolgere all'ente fidejubente poiché le relative polizze fideiussorie risultavano scadute, quanto alla Orlandelli, il 13.11.93 e, quanto alla Sabbioneta, il 9.10.93.

Nei riguardi dei suddetti funzionari la Procura ha provveduto, ai
sensi dell'art. 5 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, ad emettere il
previsto invito a fornire deduzioni ed eventuali documenti.

Contestualmente all'invito sempre la Procura ha richiesto il sequestro conservativo, autorizzato in data 24 settembre 1997 nei confronti del solo Traversa stante l'irregolarita' della notifica indirizzata al Brogiato, fino all'ammontare complessivo di lire 1.168.358.000.

La causazione dell'esposto danno viene ritenuta caratterizzata da un alto grado di colpevolezza, nella specie del dolo o, comunque, nel caso del solo Traversa, da colpa grave.

Sul punto vengono ritenuti particolarmente probanti, dalla procura presso la sezione della Corte dei Conti, gli atti del procedimento penale, a nulla rilevando che questo si sia concluso con sentenza di patteggiamento.

Per questo aspetto viene ritenuta irrilevante la predetta tipologia della sentenza, formulata ex art. 444 del c.p.p., con richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, che nell'affermare tale inefficacia sul processo amministrativo contabile, precisa che tale sentenza non impedisce la valutazione in questo ambito di tutti gli atti del procedimento di cui essa rappresenta la conclusione.

Viene infine affermato che l'ulteriore effetto premiale (oltre la consistente riduzione della pena) dell'inutilizzabilità di questo tipo di sentenze nei procedimenti civili o amministrativi ha quale unico scopo quello di incentivare il ricorso a tale strumento di deflazione del carico dei processi, nulla togliendo alla circostanza che oggetto della sentenza è pur sempre la commissione di un reato (e nella specie grave, corruzione e truffa ai danni dello Stato) e l'applicazione conseguente di una pena (detentiva, in questo caso).

Nella fattispecie gli ulteriori elementi concordanti sono dati, secondo l'Organo requirente, dalle risultanze delle verifiche generali, disposte dalla Procura generale di Mantova e acquisite agli atti, dalle relazioni dell'Isp. Zangrilli, nonchè dai verbali di interrogatori a contenuto sostanzialmente confessorio del Brogiato.

Con riferimento alla posizione del Traversa, destinatario del primo atto di citazione, anche a prescindere dalla commissione di un illecito penale e, dunque, di una responsabilità contabile a titolo di dolo, la Procura ritiene che nel caso di specie sussista, quanto meno, la colpa grave nel comportamento del convenuto. 

Difatti, diversamente da quanto affermato nelle deduzioni difensive - in relazione all'assenza di responsabilità del Traversa, in quanto a quest'ultimo, nella sua veste di Ispettore, comporterebbero soltanto poteri di mera verifica formale e contabile dell'atto di liquidazione - si afferma che il visto ispettivo nel che si concreta la sua azione, ai sensi dell'art. 2 del d. m. 23 luglio 1975, serve ad attestare la regolarità amministrativo-contabile del verbale di liquidazione e tale attestazione presuppone l'accertamento della regolarità dell'intero iter procedimentale seguito dall'ufficio, l'assenza di palesi irregolarità o elementi sintomatici da cui possa desumersi la configurabilità di una frode fiscale.

Diversamente opinando l'attività dell'ispettore si risolverebbe in un evidente spreco di attività lavorativa connotata da alta professionalità e qualificazione: in questa ottica l'attività ispettiva nel caso di specie deve ricomprendere tutti gli aspetti giuridicamente rilevanti, in relazione alla corretta e prudente erogazione del denaro pubblico, di modo che il comportamento del Traversa appare — si sostiene - quanto meno in contrasto con la specifica diligenza che è richiesta ad un funzionario (tutti argomenti privi di efficacia nei confronti di Traversa).

L'aspetto della colpevolezza ed i comportamenti che l'hanno concretizzata hanno indotto - per la gravità e l'alto grado del suo atteggiarsi - la Procura a chiedere la reintegrazione di altra fonte di danno, di cui prima si è fatto cenno sotto la voce b) ovvero il c.d. danno all'immagine.

Se in relazione alla voce di danno derivante dalla mancata percezione di entrate, la tangente (versamento di somme indebite a soggetti istituzionalmente investiti di pubbliche funzioni) viene ritenuta indice di un comportamento doloso e gravemente fraudolento, di modo che la dazione di danaro costituisce il prezzo di un illecito contabile per altri ed autonomi versi perpetrato, nell'ipotesi sub b) (c.d. danno morale) la tangente viene qualificata dalla Procura quale danno in sé: il comportamento del funzionario pubblico che riceve somme di denaro per omettere atti del proprio ufficio o per compierne altri contrari ai propri doveri comporta una grave perdita di prestigio per l'amministrazione ed un altrettanto grave detrimento dell'immagine e della personalità pubblica dello Stato (si richiama Cass. S.U. 21 marzo 1997, n. 5668).

A tale ultimo riguardo, oltre a sottolineare il rilevante esborso causato dai comportamenti dei convenuti (danno sub a), si rileva la sistematicità delle pratiche corruttive nell'ambito degli uffici finanziari in discorso, che hanno interessato, come si evincerebbe dalla sentenza penale di patteggiamento e dagli articoli della stampa quotidiana, molte altre imprese destinatarie di rimborsi.

In buona sostanza, tali fatti, lontano dall'assumere carattere episodico, finivano col divenire un vero e proprio "sistema", connotando, spesso tacitamente, la gestione quotidiana, ordinaria, dell'intero Ufficio.

Nel caso di specie, dunque, il danno all'immagine ed al prestigio dello Stato-Amministrazione finanziaria viene ritenuto gravissimo e il convenuto, si afferma in citazione, in relazione al singolo fatto contestato, deve essere considerato responsabile per danno non patrimoniale nella misura di lire 440.000.000 (importo della tangente = lire 220.000.000 x 2).

Come sopra detto, in data 13 maggio 1998, la Procura formulava atto di citazione integrativo, nei confronti di Brogiato Marco. 

In detto nuovo atto, vengono nuovamente descritti e ripercorsi i presupposti di fatto su cui si basa la pretesa dell'Organo citante, identici a quelli contestati a Traversa Giuseppe, nella prospettiva di un vincolo associativo fra i due soggetti - l'uno non svolgendo con la dovuta diligenza i necessari controlli, l'altro assumendo ruolo ispiratore ed esecutore nella realizzazione dell'accordo corruttivo - e di un legame processuale di litisconsorzio necessario.

Nella sua esposizione in diritto, il Sostituto procuratore Generale redigente l'atto di citazione si sofferma in particolar modo sulle ragioni ed i presupposti che hanno indotto la Procura ad avanzare pretesa satisfattoria rispetto al prospettato "danno all'immagine" ovvero la lesione di prestigio e alla credibilità dello Stato e la tecnica ricostruttiva dell'entità dello stesso.

Sotto un primo aspetto, la ricostruzione del danno da lesione dell'immagine e del prestigio dello Stato, o di un Ente pubblico avente distinta soggettività giuridica, come danno patrimoniale, offensivo di interessi e valori suscettibili di valutazione economica ed al di fuori dunque dall'area dei danni non patrimoniali, trova conferma, segnala la Procura, nella posizione della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 184/86, ha autorevolmente ristretto il concetto di danno non patrimoniale al solo "danno morale subiettivo" come tale non patibile se non da persone fisiche e non certo da enti giuridici.

Che quella in argomento sia una voce di danno erariale di natura patrimoniale discenderebbe, inoltre, da un lato, dalla considerazione che anche quando si tratti di azione di risarcimento danni da discredito o da lesione dell'immagine proposta da persona fisica, la domanda, nel sistema civilistico, è inequivocabilmente volta al ristoro di lesioni patrimoniali in senso stretto, sia pure indirette, in base all'art. 2043 c.c. (minori occasioni di guadagno e maggiori spese per il ripristino dell'immagine danneggiata); dall'altro, da un attento esame delle rilevanti conseguenze patrimoniali e finanziarie che derivano dai comportamenti delittuosi in esame, in termini di minori entrate tributarie conseguenti alla perdita di credibilità delle Istituzioni, soprattutto finanziarie, di possibili effetti emulativi da parte di altri dipendenti, di dirottamento della richiesta di servizi dal "pubblico" (corrotto ed inefficiente) al "privato" (affidabile e sicuro) da parte dei cittadini, nonché, sul piano internazionale, di minor volume di commesse straniere derivanti dalla perdita di prestigio del nostro Paese.

In secondo ordine, per ciò che attiene alla metodologia individuativa del "quantum debeatur", la Procura ha affermato, in primo luogo, che il danno all'immagine non può prescindere dall'entita' della somma corrisposta a titolo di tangente, nel caso di specie, poi, trascendendo lo stesso fino a duplicarne il valore.

La singola tangente ha già sicuramente una capacità lesiva del prestigio, dell'immagine e della personalità dello Stato, in quanto scardina il rapporto fiduciario tra il dipendente pubblico e l'Ente presso cui presta servizio, lo distrugge dalle fondamenta, a partire da quel dovere di fedeltà che trova già nella Costituzione la sua fonte (art. 98, 1° comma); ma quando questa si inserisce nell'ambito di una serie di comportamenti ripetitivi e costanti, così da divenire "prassi", essa, oltre a colorare psicologicamente la condotta del convenuto, fa acquistare i caratteri di gravità e rilevanza allo stesso fatto dannoso e al conseguente pregiudizio subito dall'amministrazione. 

Nel caso di specie, peraltro, questo ha subito un ulteriore incremento a causa della risonanza data alla vicenda, dalla stampa locale e nazionale.

Per le ragioni esposte, la quantificazione di tale voce di danno non può coincidere con l'importo della tangente, si afferma, ma deve essere superiore a questa di gran lunga, anche in ragione della sproporzione tra i beni oggetto di illecito scambio: illeciti rimborsi da un lato, immagine, credibilità e prestigio dello Stato, dall'altro.

Quanto al primo aspetto bisogna partire, secondo l'ottica della Procura, dalla considerazione che l'erogazione di tangenti viene sempre effettuata al fine di ottenere, dal pubblico impiegato che ne è destinatario, la violazione dei propri doveri di servizio. 

Si è in presenza di uno schema contrattuale in cui ad una prestazione, rappresentata dall'attività illecita del dipendente, è correlata una controprestazione, rappresentata dalla tangente.

Essa è il sinallagma del comportamento infedele, è il prezzo attribuito ad esso dalle parti. Il corruttore ed il corrotto, in buona sostanza, dice l'Organo requirente, hanno dato una valutazione economica alla violazione delle regole di servizio, l'hanno quantificata in una certa somma che è appunto la tangente.

Ne consegue che il danno al prestigio e all'immagine dello Stato-Amministrazione, derivante proprio dalla violazione di quei doveri di servizio, per i quali le parti hanno stabilito una certa quantificazione, non può essere inferiore alla somma da essa risultante. 

Non sarebbe infatti pensabile che il suo valore possa essere inferiore a quello che le parti hanno inteso attribuirgli con il loro illecito accordo.

Di conseguenza, afferma il Sostituto Procuratore Generale citante: "il danno patrimoniale diretto che deriva da tale comportamento illecito è, come visto, pari all'ammontare degli illeciti rimborsi calcolati sub a). 

Il danno patrimoniale indiretto (quello appunto di cui si discorre) è invece quello derivante dall'accettazione stessa della tangente, dall'accordo criminoso, il cui valore è rappresentato, allora, dalla tangente stessa".

Con riferimento al proposito di dimostrare che il danno in argomento trascende il valore della tangente, bisogna partire, secondo la Procura, dalla considerazione che le parti che stipulano un patto scellerato, diretto alla violazione dei doveri di servizio di una di loro, quei doveri non tengono in gran conto.

Se ciò non fosse, non basterebbe la semplice dazione di una somma di denaro, per derogarvi.

Se oltretutto si pone mente al fatto che, violare i doveri di servizio significa ledere direttamente il prestigio dello Stato, è da ritenere che la valutazione economica di esso, fatta dal datore delle tangenti e dal suo percettore, non corrisponda al suo reale valore, ma sia sottostimata.

Ciò discenderebbe, quale conseguenza logica, dalla disponibilità stessa, poi messa in pratica, dimostrata dai convenuti in questione, a derogare ai citati doveri e quindi a offendere l'immagine dell'Amministrazione. 

Si afferma essere nozione di conoscenza comune quella secondo la quale, si violano solo principi che non si tengono in grande conto. Nel caso di specie, poi, il principio troverebbe conferma nella ripetizione costante del comportamento illecito, nel suo divenire "prassi" e nel suo rappresentare il normale atteggiarsi nei rapporti tra le parti.

A quanto sin qui detto il citante aggiunge che, essendo la tangente, quale prezzo per il comportamento illecito e per la lesione del prestigio dell'Amministrazione, la risultante di un rapporto di mercimonio, con correlativa contrapposizione di interessi (quello del corruttore a pagare il meno possibile e quello del dipendente a lucrare il più possibile), essa è stata sicuramente oggetto di quella normale contrattazione che caratterizza tutte le operazioni commerciali - ancorché illecite - la cui normale conseguenza è una diminuzione del prezzo del bene oggetto di scambio rappresentato dalla violazione dei doveri di servizio e dalla lesione del prestigio e dell'immagine dell'Amministrazione.

Questi ultimi, peraltro, si legano direttamente a norme costituzionali ed ai connessi principi di imparzialità e buona amministrazione nei quali sono ricompresi. Le violazioni di cui è parola rappresenterebbero allora diretta violazione di principi costituzionali di portata universale.

Ricevere tangenti e pertanto acconsentire a derogare agli obblighi di fedeltà e correttezza che caratterizzano il rapporto di pubblico impiego, con conseguente accettazione di una lesione dell'immagine e del prestigio della P.A., significa violare direttamente, dice la Procura, l'art. 97 della Costituzione ed i principi in esso contenuti.

I principi d'imparzialità e buona amministrazione, se da un lato rappresentano obblighi diretti alla P.A. nel suo complesso, con correlativi diritti soggettivi dalla parte dei cittadini destinatari della sua attività, dall'altro costituiscono veri e propri doveri di comportamento per i pubblici impiegati, con correlativi diritti soggettivi in capo all'Amministrazione cui appartengono e per conto della quale, nell'ambito del rapporto d'impiego e d'incardinazione all'ufficio, svolgono la loro attività.

L'art. 97 Cost. viene ritenuto, allora norma bifronte: il principio di buona amministrazione in esso contenuto, da un lato introdurrebbe un diritto per i cittadini con correlativo obbligo per gli uffici pubblici, dall'altro sarebbe, sotto il profilo dell'immagine e del prestigio dell'Amministrazione, diritto per quest'ultima e correlato obbligo per il dipendente.

Obbligo che assume allora una connotazione costituzionale che, se da un lato, in caso di sua violazione, consente l'inquadramento del pregiudizio subito tra i danni patrimoniali, dall'altro permetterebbe di ritenere sicuramente non adeguata la valutazione fattane dalle parti in sede di accordo corruttivo. 

Queste, infatti, con la loro stima, intendono dare un prezzo solo all'attività illecita in sé considerata ed ai rischi conseguenti e non certo al "valore costituzionale" dei beni giuridici da essa lesi.

Valutare quindi il prestigio e l'immagine dell'Amministrazione solo in misura pari alla tangente, significherebbe, così si esprime il citante, attribuire ad essa il solo valore speso per derogarvi, senza tener conto del così detto "valore costituzionale".

Questo rappresenterebbe allora quel "quid pluris" da aggiungersi, ai fini di una corretta quantificazione del danno, al valore della tangente.

Risulta, allora, necessario trovare un criterio che consenta di attribuire un valore monetario a questo quid pluris che, si sostiene, è necessario aggiungere al valore di danno rappresentato direttamente dal quantum della tangente.

Contrariamente a quanto visto sub 1), per la sua quantificazione si suggerisce il ricorso all'art. 1226 c.c. e addivenire ad una valutazione equitativa.

Questa deve però, necessariamente, partire da un dato incontrovertibile: il "valore costituzionale", quello che cioè misura il principio di buona amministrazione sotto il lato della attendibilita' della P.A. al suo rispetto (nel che consiste il suo prestigio), non può certamente essere inferiore al valore speso per derogarvi.

Per quanto basata su metodi equitativi, una valutazione che non voglia incorrere nel rischio di sottostimare ed offendere il "valore costituzionale" deve condurre, secondo la Procura, ad una cifra almeno pari a quella della tangente, alla quale ultima va aggiunta, al fine di ottenere un dato monetario che, per quanto sicuramente insufficiente, data la sua incommensurabilita', si avvicini il più possibile al valore del bene giuridico leso. La richiesta finale della Procura, a titolo di danno all'immagine è di £ 400.000.000.

La difesa di Traversa

Mentre il sig. Brogiato non si è costituito, il sig. Traversa, tramite il patrocinio dell'avv.to Solimini, ha rilevato:
- che nessun indizio di colpevolezza può essere tratto dal procedimento penale, ove la sentenza di patteggiamento che ha posto fine allo stesso non può far stato nel senso della colpevolezza in altro processo: la decisione, poi, di procedere a tale accordo processuale è stata motivata, afferma il convenuto, dalla necessità di porre fine alla vicenda il cui protrarsi risultava causa di gravi disagi emotivi, per il medesimo e per i propri familiari.

Nel merito dei fatti contestatigli, il Traversa nega di aver dato luogo ad alcun accordo corruttivo e qualifica le affermazioni del Brogiato — che lo ha chiamato in causa nel procedimento penale — come atti di "millantato credito" ; le stesse indagini patrimoniali nei suoi confronti hanno dimostrato — anche dopo un processo per favoreggiamento, conclusosi con l'assoluzione, a carico della moglie, che lo stesso non ha mai tratto illecito lucro dalla pubblica funzione.

Afferma poi di aver sempre operato correttamente e di aver adoperato l'idonea diligenza nella propria attività ispettiva che si svolgeva — rammenta — nell'ambito di una defatigante serie di incarichi (aggiunti: Conservatore dei Registri Immobiliari di Brescia, Conservatore dei Registri Immobiliari di Salo’, Direttore dell’Ufficio del Registro di Salo’, Ispettore Compartimentale degli Uffici IVA della Lombardia Orientale, Brescia1, Brescia2, Mantova, Cremona e Bergamo).

Quanto al danno, rileva come questo non sia da considerarsi definitivo e come il dato della propria ipotizzata colpevolezza non sia evincibile dalle dichiarazioni del Brogiato, in realtà riferentesi a vicende verificatesi in altro periodo temporale.

DIRITTO

La vicenda sottoposta al giudizio del Collegio concerne un'ipotesi di illecito amministrativo perpetrato con dolo, o, in subordinata prospettazione, con atteggiamento di colpa grave, il cui necessario elemento del danno erariale è costituito dall'indebita erogazione di rimborsi infrannuali.

Ad un convenuto, il Brogiato, si imputa un comportamento commissivo, concretizzatosi nell'essersi adoprato, in accordo con tale Zanoni Lorenzo, al quale erano riconducibili le società beneficiarie dei rimborsi medesimi, al fine di ottenere senza impedimenti gli stessi; al secondo, il Traversa, viene fatto carico, nella sua qualità di Ispettore, di aver dolosamente o colposamente omesso i dovuti controlli al momento dell'apposizione, da parte dello stesso, del "visto ispettivo", atto in senso lato autorizzatorio nell'ambito della relativa procedura di attribuzione.

Va, in via preliminare, affermato che non può essere revocata in dubbio la sussistenza del danno, poiché le somme erogate dall'Erario risultano essere state conferite "sine titulo" così come evincibile dal contenuto delle relazioni ispettive — in fatto menzionate - dell' Ispettore Zangrilli, incaricato dalla Direzione Regionale delle Entrate per la regione Lombardia di predisporre elementi istruttori e valutativi per la competente Procura della Corte dei conti , e dal tenore dei verbali della G d. F. sempre in fatto già citati ; gli esiti della verifica compiuta dal citato Organo di Polizia Tributaria e Giudiziaria non lasciano dubbi su quanto affermato, anche alla luce di quanto si motiverà in occasione dell'esame dell'operato dei convenuti e del contesto fattuale in cui questo si è inserito. 

In particolare si deve sottolineare che, secondo quanto rappresentato dal predetto Isp. Zangrilli, la somma ripetibile sia dalla Orlandelli Carni s.r.l., sia dalla Sabbioneta Leasing non è più coperta da garanzia fideiussoria essendo scaduta la relativa polizza; di conseguenza, benché si sia provveduto ad insinuare il credito vantato dall'erario nella massa passiva del fallimento della prima e della procedura di liquidazione della seconda detto recupero appare, secondo le parole dell'Ispettore menzionato, "assai improbabile". 

La remota eventualità di tale evenienza, comunque, è dato inconferente ai fini dell'indagine circa la attualità del danno, rilevando solo ai fini dell'esecuzione di un'eventuale condanna.

Neanche recepibile è l'affermazione della mancanza della certezza del danno in quanto circa la legittimità dei rimborsi di cui si discute sarebbe pendente giudizio innanzi le competenti Commissioni Tributarie: prescindendo dalla notazione che relativamente a tale dato non è possibile ricavare esaustiva nozione - circa l'instaurazione di detti giudizi, lo stato e l'eventuale sopravvenuto esito da acquisire agli atti — dalla documentazione allegata dalle parti, vale, innanzitutto, il principio della separatezza del presente processo di responsabilità amministrativa rispetto a quello inerente il rapporto tributario; di conseguenza, va affermata l'autonomia valutativa di questo Giudice — rispetto sia al fatto che alla norma — con riferimento alla debenza o meno dei rimborsi erogati quali configurati come fonte di danno.

Dietro detta erogazione vi è una fattispecie qualificata dal Pubblico Ministero del procedimento penale quale truffa ai danni dello Stato; peraltro, nell'ambito del cennato procedimento penale non vi è una "res iudicata" che definisca incontrovertibilmente fatti e responsabilità, poiché, come in fatto già affermato, le parti processuali hanno definito una conclusione patteggiata dello stesso. 

Le posizioni del Brogiato e del Traversa, poi, vanno esaminate in maniera distinta per i differenti contorni del comportamento relativo all'addossata responsabilità, come sopra già delineato: per il primo si tratterebbe di dolosa compartecipazione, mentre per il secondo l'imputazione attiene ad una dolosa o gravemente colposa omissione di vigilanza (come vedremo insussistente sotto entrambi i profili).

Accoglimento delle tesi del pubblico ministero presso questo giudice contabile, per quanto concerne il Brogiato.

Con riferimento al Brogiato questo Giudice ritiene che la richiesta della Procura, fondata su esaurienti argomentazioni in fatto ed in diritto, vada accolta.

Il convenuto era, all'epoca dei fatti, impiegato presso l'Ufficio Iva di Mantova, nel cui ambito di competenze rientravano le procedure amministrative che hanno dato luogo ai fatti dannosi, era addetto al terzo reparto, al quale spettava la gestione delle procedure attinenti i rimborsi, ma non ricopriva mansioni inerenti i rimborsi infrannuali (cioe’ la specifica tipologia che qui si esamina) ne' ha avuto compiti specifici in relazione a talune fattispecie di questi. 

Il suo ruolo, pero', ad avviso della Sezione, e' di vero e proprio concorso in una fattispecie che viene ben tratteggiata enucleando fatti e qualifiche cosi' come prospettati dal Pubblico Ministero penale Marco Martani  nella sua richiesta di rinvio a giudizio.

In tal senso il Giudicante penale Latagliata trae (a torto) le preminenti fonti di prova fondanti il proprio convincimento dalla più volte menzionata vicenda penale.

Il Collegio Contabile, in via preliminare, non si può allora sottrarre all'obiezione — formulata dal Traversa, per vero, ma che assume validità di eccezione difensiva di carattere generale — che la fattispecie processuale penale che viene assunta a riferimento è terminata con sentenza di patteggiamento, come tale inidonea a fare stato (art. 445 c.p.p.) in altri giudizi.

Ma tale tipologia di sentenza, e il procedimento di cui costituisce l'esito, richiede una lettura più esaustiva.

In primo luogo la disposizione che inibisce l'utilizzazione della stessa come atto accertativo di una colpevolezza va considerata alla luce dell'art. 27 della Costituzione che inibisce l'irrogazione di una pena senza giudizio e sancisce il principio della presunzione di innocenza dell'imputato, oltre a prevedere la finalita' rieducativa di detta pena (cfr. Corte Costituzionale n. 66 e 313 del 1990 e 251 del 1991).

Orbene, se si vuole interpretare in senso coerente con detto art. 27 Cost., la normativa in tema di patteggiamento, la quale diversamente sarebbe, con lapalissiano procedimento logico, incostituzionale (e tale non è stata ritenuta dalla Consulta nelle decisioni sopra citate), si deve sostenere che, quando si verificano i presupposti di detta sentenza, viene evidenziata l'attività di indagine preliminare, la quale assume, senza il vaglio del dibattimento, valenza giudiziale, in virtù del consenso fra le parti e del controllo giudiziale su detto consenso.

Poiché l'imputato ha acconsentito a conferire valore alle indagini del Pubblico Ministero, in sostanza rinunciando a contestare le stesse, per ragioni premiali (anche nell'ambito di una finalità deflattiva dell'attività processuale) e di giustizia oggettiva, poiché non vi è stato l'esaustivo vaglio del giudice del dibattimento, la sentenza di patteggiamento non può far pieno ed incontrovertibile stato in altri giudizi, né l'imputato è condannato alle spese, ma, di contro, a conferma di quanto detto:

1.    il giudice deve valutare che, allo stato degli atti, non si debba procedere al proscioglimento dell'imputato, la correttezza della comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e la congruita' della pena patteggiata ai fini educativi di cui all'art. 27 Cost. (Corte Cost. n. 313/90);

2.    deve valutare altresì l'esatta qualificazione della fattispecie, non potendo, però sindacare la sufficienza probatoria dell'attività del Pm ( tale sufficienza deriva dal consenso delle parti);

3.    la sentenza acquista valore ai fini della recidiva e della abitualità e professionalità del reo.

E' opportuno allora richiamare indirizzo giurisprudenziale (Cass. I sez. ud. 19.2.1990, in Cass. pens. 1990, II, 44) che qualifica la sentenza di patteggiamento come "tertium genus" - o "sentenza in ipotesi" - fra quella di condanna e quella di assoluzione: per sua natura questa - per le ragioni anzidette - esalta la fase preliminare del procedimento penale, dando ad esso un non contestabile valore giuridico e piena valutabilità dei suoi elementi istruttori in altri giudizi ove la sussumibilità di questi sia permessa e soddisfi le finalità della relativa disciplina( cfr. Cass. Pen. Sez. IV 19.12.1997, n. 3228).

Nei giudizi innanzi la Corte dei Conti tale valutabilità è fatto più volte affermato (tra le altre, Sez. Riun. 2.12.97 n. 68\A, Sez. I, 21 dicembre 1995, n. 34/A, n. 12\93 Sez. II 23 ottobre 1995, n. 32/A; Sez. Veneto, 27 novembre 1996, n. 465): il giudice contabile può ricavare dal procedimento penale patteggiato elementi di valutazione ai fini del proprio convincimento, in presenza di altri concordanti fattori indizianti    (Sez. I 133\94, Sez. Puglia, 5 febbraio 1996, n. 11; Sez. Lombardia, 6 maggio 1996, n. 1028; Sez. Lazio, 11 aprile 1996, n. 26).

Tanto premesso, quindi, va allora sottolineato che il Pubblico Ministero ha iniziato l'azione penale nei confronti del convenuto Marco Brogiato, imputandogli, con l'aggravante della continuazione e del vincolo associativo, di essere stato parte di accordo corruttivo e di aver contribuito alla perpetrazione di una truffa aggravata ai danni dello Stato, avendo percepito in piu' riprese denaro da tale Zanoni Lorenzo, commercialista e socio fondatore di numerose societa' beneficiarie, al fine di omettere controlli e di facilitare l'artificiosa predisposizione di documentazione onde ottenere indebiti rimborsi di imposta sul valore aggiunto.

Secondo la Guardia di Finanza delegata dal magistrato penale, (cfr. rel del 4.7.1994, n. 6893\26) l'anzidetto Zanoni Lorenzo, come dallo stesso dichiarato in interrogatorio, aveva costituito una serie di societa' ( tra cui la Orlandelli Carni s.r.l., dato che rileva ai fini del presente giudizio) al solo scopo di lucrare illeciti rimborsi; inoltre, sempre la GdF, a seguito di intervento presso lo studio professionale della Dr.ssa Paola Ferraris di Milano, via Soresina n. 16, nominata curatore fallimentare della Dpu s.r.l. - Distribuzione Prodotti di Ufficio, - rinveniva un raccoglitore intestato "Sala Sergio", contenente fatture e note di credito, emesse, fra l'altro, nei confronti della "Sabbioneta leasing s.r.l." (altra societa' di rilievo per quanto qui ne occupa). 

Gli inquirenti hanno osservato che (cfr. pag. 6 della citata relazione) la documentazione contabile rinvenuta "puo' riferirsi ad operazioni contabili inesistenti", definendo inoltre detta Sabbioneta leasing s.r.l. come "societa' di comodo". 

Inoltre veniva appurata l'esistenza di rapporti di lavoro e di conoscenza fra il citato Sala e lo Zanoni. L'ultimo menzionato, ha affermato, nelle dichiarazioni rese dinnanzi al magistrato penale ( cfr. int. del 18 novembre e del 27 dicembre 1993) di aver pagato al Brogiato (il quale, tra l'altro - vicenda che si esaminera' in seguito - asseriva di agire d'accordo con un ispettore compartimentale) una quota pari al 20% dei rimborsi indebiti ricevuti dalle societa' per le quali aveva un interessamento. 

Conferma delle predette affermazioni dello Zanoni deriva dal contenuto dell'interrogatorio di Anversa Davide (in data 19.11.1993), "collaboratore" dello stesso (in senso molto precipuo, ovvero quale preposto ad alcune società nell'ambito della rete commerciale ordita da questi), il quale, con descrizione coerente con le altre risultanze processuali, ha dichiarato sussistere l'accordo corruttivo sopradescritto.

Ancora, inducono questo Giudice ad affermare la colpevolezza del Brogiato le seguenti fonti di prova, cosi' come tratte dal procedimento penale:

1)    all'esito della perquisizione domiciliare disposta nei confronti del convenuto e' stata rinvenuta un'agenda contenente indicazioni relative a societa' alle quali sono stati concessi i rimborsi di imposta rivelatisi irregolari, nonche' il numero telefonico dello Zanoni; 

2)    il controllo sulla situazione patrimoniale del Brogiato ha evidenziato - con riferimento in particolare al conto corrente intestato a quest'ultimo - una consistenza esuberante rispetto alla retribuzione e alla posizione sociale dello stesso.

Sottoposto, poi, a misura di custodia cautelare, il Brogiato stesso rendeva confessione e chiariva le modalita' del proprio illecito operato (cfr. int. 25.11.1993, agli atti):

- dichiarava, infatti, di aver ricevuto denaro dallo Zanoni, poiche' si era interessato circa la completezza della documentazione presentata per conto delle societa' richiedenti i rimborsi accelerati, adoprandosi al fine di porvi soluzione, quando la stessa risultava - a seguito di quanto gli veniva comunicato dai colleghi impiegati nel reparto rimborsi - carente  ("Zanoni era venuto da me per chiedermi di interessarmi per quale motivo il rimborso  ritardava. Mi informai presso il reparto competente. Mi sembra che mancasse la fideiussione. Ottenuto il rimborso mi consegno' in contanti la somma" cfr. int. 25.11.1993, agli atti).

L'accordo illecito assunse caratteristiche di continuita': le affermazioni del Brogiato coinvolgono nell’illiceità  anche il Traversa, poiche', stando alle sue parole:" Zanoni, dopo una decina di giorni torno' da me e mi chiese se conoscevo qualcuno perche' le pratiche di rimborso relative a tre ditte andassero a buon fine..........andai da Traversa Giuseppe e gli dissi che se le pratiche Barracuda leasing, Carpenteria Civirtese e Sabbioneta leasing fossero andate a buon fine ci sarebbe stato del denaro per lui" (cfr int. 25.11.1993).

Appare evidente da quanto esposto che il comportamento del Brogiato - pur non potendosi riscontrare una violazione della normativa specifica in tema di procedure di rimborso, in quanto lo stesso non era addetto alla predisposizione di quelli infrannuali, svolgendo in sostanza un ruolo di intermediario fra i rappresentanti delle società beneficiarie e gli addetti all'ufficio Iva, i quali, è da presupporre, erano ignari degli accordi illeciti che sottostavano a tale comportamento - risulta gravemente aberrante rispetto ai canoni di imparzialità di cui all'art. 97 della Costituzione, ed inoltre lesivo del dovere di fedeltà, la cui massima enunciazione si rinviene nell'art. 98 Cost., in quanto il Brogiato si è servito della pubblico impiego per privati fini.

Benche’ dagli atti presenti nel fascicolo processuale non sia possibile desumere con la necessaria sicurezza l'assunzione di un comportamento corruttivo, in quanto il convenuto non ha posto in essere, dietro illecito corrispettivo, atti relativi al proprio ufficio, maggior certezza ha questo Giudice nell'affermare che lo stesso abbia dato rilevante contributo nella perpetrazione di una indebita lesione all'integrità patrimoniale dello Stato (in sede penale qualificato come truffa ai danni dello stesso).

In conclusione, quindi, gli addebiti rivolti al convenuto Marco Brogiato vanno ritenuti pienamente fondati.

Anche per Traversa Giuseppe l'addebito rivoltogli dalla Procura è relativo alla medesima vicenda causatrice di danno erariale, ovvero i rimborsi infrannuali erogati alla Sabbioneta leasing e alla Orlandelli Carni, rimborsi risultati non dovuti a seguito di accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza e ulteriormente confermato dall'attivita' ispettiva disposta dalla Direzione regionale per le Entrate per la regione Lombardia.

Il suo ruolo nella causazione dell'illecito — secondo la prospettazione della Procura — sarebbe di carattere omissivo, in ragione del mancato esercizio dei suoi poteri — doveri di vigilanza in occasione dei controlli ispettoriali effettuati presso l'ufficio Iva di Mantova: il Traversa, infatti, secondo parte accusante, avrebbe effettuato un controllo negligente — o addirittura, nell'adombrata ipotesi di dolo, coscientemente carente — in occasione dell'apposizione del necessario visto ispettivo — atto di controllo atteggiantesi quale condizione di efficacia — prodromico all'erogazione dei rimborsi infrannuali "de quibus".

Questa l'allegazione probatoria addotta da parte accusante:

il Brogiato Marco — sulla cui colpevolezza il giudicante, secondo quanto sopra esposto, ritiene esservi poco margine di dubbio — ha affermato, nell'interrogatorio del 25. 11 1993, reso "in vinculis" avanti al Giudice per le Indagini Preliminari, di essersi recato da Traversa e di avergli detto che "se le pratiche Barracuda, Carpenteria Civitese e Sabbioneta fossero andate a buon fine ci sarebbe stato del danaro per lui"; al che questi rispose che "esaminando tutte le pratiche avrebbe preso in considerazione anche quelle".

Inoltre, sempre con riferimento al contenuto degli interrogatori penali, in tale sede, lo Zanoni, figura il cui ruolo è stato già delineato, ha affermato (cfr. int. sopra menzionati) che il Brogiato avrebbe interessato, per il buon esito delle pratiche di rimborso, un ispettore di cui aveva conoscenza.

Indubbiamente quanto appena esposto assume un peso processuale, conferendo ombre all'operato del Traversa; di contro, però, si deve osservare che a suo carico non vi sono dichiarazioni dirette e concordanti ma, per così dire, una chiamata in illiceità e una affermazione "de relato", le quali non definiscono in maniera esaustiva un quadro probatorio, né le indagini patrimoniali nei suoi confronti fanno supporre un illecito arricchimento (v. rel. G. di F. citata).

Ciò che, però, induce questo Giudice a non ritenere sussistente l'ipotesi del dolo quale fattore costitutivo della colpevolezza del Traversa nel presente giudizio, non è tanto un convincimento circa l'assunzione di un tale atteggiamento psicologico da parte del convenuto, quanto la considerazione che l'eventuale oggetto di questo è estraneo al contenuto del presente giudizio.

Infatti, mentre poco si può arguire dalle dichiarazioni dello Zanoni — poco sicure sia per l'incertezza con la quale sono state formulate, nei confronti del Traversa, sia poiché rilevano fatti acquisiti attraverso cognizione indiretta — il Brogiato ha affermato di aver coinvolto il menzionato Traversa nel 1992 (cfr. interrogatori agli atti): orbene, i fatti dannosi allegati dalla Procura riguardano due fattispecie di indebita erogazione di rimborso infrannuale Iva a due società, ed in relazione a due trimestri del 1991, poiché, negli altri casi di erogazioni non dovute, già sottoposte al vaglio del giudice penale, le somme corrisposte sono state già recuperate avvalendosi delle garanzie con le quali gli atti di rimborso, in attesa di una definitiva verifica, sono tutelati per espressa disposizione di legge, ex art. 38 bis del DPR n. 633 del 1972.

Viene così a cadere, per gli esposti motivi, la principale prova della Procura la quale, dal profilo dell'addebito doloso, risulta priva di elementi a suo favore, salvo le dichiarazioni dello Zanoni, sul punto, però, incerte e lacunose.

Rimane, quindi, da verificare se il convenuto Traversa, abbia tenuto, nell'espletare il proprio compito di vigilanza, un comportamento negligente o imperito, con diretto riferimento alle operazioni ispettive che condussero alla concessione dei rimborsi diretta fonte del danno erariale di cui si discute.

Anche sul punto la Sezione rigetta gli addebiti della Procura.

In via preliminare, è bene esaminare il contesto normativo che prevede e legittima le fattispecie fiscali di cui si discute.

I rimborsi infrannuali presentano caratteristiche di particolare celerità, in quanto vengono concessi, a mente del già citato art. 38 bis, comma 2, del Dpr 633\72, ad operatori economici che si trovano in determinate e fisiologiche condizioni di dinamica imprenditoriale che li portano ad avere in maniera strutturale un'imposta sul valore aggiunto assolta "a monte" superiore di quella "a valle", acquisita in via di rivalsa quale sostituto di imposta.

Poiché dalla differenza contabile delle due entità gli operatori risultano in maniera durevole a credito verso l'erario, gli stessi hanno diritto ad una soddisfazione del credito temporalmente immediata, sotto condizione del buon esito della verifica successiva dei presupposti legittimanti, poiche’, in caso diverso, verrebbe intaccato il principio della neutralità dell'Iva (non incidenza sulla trasparenza e concorrenzialità del mercato).

Gli operatori che possono beneficiare delle menzionate procedure sono:

1)    coloro che esercitano esclusivamente o prevalentemente attività che comportano l'effettuazione di operazioni soggette ad imposte con aliquote inferiori a quelle dell'imposta relativa agli acquisti e alle importazioni;

2)    contribuenti che esercitano esclusivamente o prevalentemente attività che comportano la effettuazione di operazioni non imponibili di cui alle lettera a) e b) dell'art. 8, al primo comma dell'art. 8 bis o al primo comma dell'art. 9 (in sostanza operazioni all'estero), operazioni di cui al n. 10 dell'art. 10 del D.P.R. 633/72;

3)    contribuenti che effettuano operazioni non imponibili di cui alla lettera c) dell'art. 8, al secondo comma dell'art. 8 bis o al secondo comma dell'articolo 9 per un ammontare superiore al 60% dello ammontare complessivo di tutte le operazioni effettuate.

Il visto che l'Ispettore Traversa, inviato - dall'allora competente Ispettore Compartimentale delle II II sulle Tasse e sugli Affari - a vigilare sul buon andamento degli uffici periferici, doveva apporre sulle procedure di rimborso era, espressamente, di "regolarità amministrativo contabile" cosi' come previsto dall'art. 2 del D.M. 23.7.1975.

Con riferimento ai rimborsi infrannuali, doveva essere verificata la ricorrenza dei presupposti sopra elencati, nonché la produzione documentale richiesta a tali fini (garanzie reali personali, prova dell'esistenza del soggetto giuridico richiedente) ed effettuata l'interrogazione dell'Anagrafe Tributaria per l'appuramento della non sussistenza di anomalie indizianti in capo al contribuente richiedente (v. circolare min. n. 19 del 10 luglio 1979).

Certamente, i canoni di imparzialità e di efficienza che informano l'attività della P.A. conferiscono facoltà, qualora, dall'indagine concreta emergano, nei confronti di una determinata società, indizi di grave anomalia, di una sospensione della richiesta dei rimborsi, con passaggio - in attesa di più esaustivo controllo - all'esame della posizione successiva nel registro dei rimborsi, improntato a rigido criterio cronologico; tale facoltà, però, deve essere esercitata con contestuale ponderazione delle cennate esigenze di celerità, della natura di controllo prodromico di carattere documentale e formale del visto ispettivo, stante anche l'attesa di un successivo, più approfondito controllo nelle more del quale l'erario è protetto dalle previste garanzie.

Non risulta, stando agli atti, che il Traversa sia venuto meno al suo dovere di controllo nel contenuto e con le modalità richiestegli, poiche’ non risulta infatti provato che questi non si sia accorto di un'eventuale mancanza dei requisiti soggettivi prescritti per legge, né della mancanza della documentazione necessaria.

D'altronde tale omissione, qualora si fosse verificata, sarebbe stata certamente rilevata, per la sua gravità, dal caporeparto addetto alle procedure in questione o dal Dirigente dell'ufficio (IVA), il quale ha materialmente apposto la firma sull'atto di concessione dei rimborsi infrannuali.

Lo stesso si deve dire per la possibile mancata rilevazione di gravi anomalie in concreto evidenziabili in capo ai soggetti richiedenti.

Tale elemento, infatti, non risulta essere stato evidenziato nell'ordinaria attività di controllo sulla procedura effettuata dagli addetti alla stessa e dal loro Dirigente.

In conclusione, quindi, va rigettata la pretesa della Procura nei confronti di Traversa Giuseppe (sia per l’ipotesi di dolo che di colpa grave). 

Va invece accolta quella per il danno diretto, equivalente a £ 1.168.358.000 nei confronti di Brogiato Marco.

La questione del danno all’immagine rilevante solo per il Brogiato.

Nei confronti di quest'ultimo, vi è, però, un'altra fonte di danno da valutare e, relativamente alla quale va accolta l'istanza della Procura nei limiti e con le motivazioni di cui dappresso. 

Si tratta del nocumento — di cui già si è parlato in narrativa esponendo il contenuto dell'atto di citazione — usualmente denominato come " danno all'immagine". 

Si tratta, come ora si va a chiarire, di uno svantaggio patrimoniale ancorche' indiretto. In tale definizione, nonostante contrarie pronunce ( cfr. Corte dei Conti, sez. II n. 207\98, Sez. I n. 5\94, sez. Umbria, n. 20\95) il giudicante e' confortato da importante sentenza della Corte di Cassazione (Cass. SU 21.3.1997 n. 5668, in sostanza rifacentesi, con puntualizzazioni, a precedente Cass. SU 3970\93), che ha ritenuto tale tipologia di danno qualificabile in termini di patrimonialita', sia pure in senso ampio, conseguente alla grave perdita del prestigio e dell'immagine della personalita' pubblica; infatti, il pubblico impiegato che illecitamente - a seguito di accordi corruttivo o concussorio - percepisce una somma di denaro, o compie, animato da fini personali, violazioni di norme penali poste a difesa degli interessi della PA ( come ad esempio, per il caso di specie, comportamenti truffaldini) da' causa, con il proprio comportamento, lesivo di detti valori, ad un grave deterioramento dell'immagine della personalità pubblica dello Stato Amministrazione, immagine intesa come percezione e sentimento di rispetto e di appartenenza - e fiducia nel suo carattere di esponenzialità o nella sua capacità di curare il pubblico interesse affidatogli - nei confronti di una istituzione. 

E' per tale motivo che la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza sopra citata, ha precisato che, quando si parla di detto danno all'immagine nei giudizi innanzi alla Corte dei Conti, "non si fa riferimento al "pretium doloris", cioè al ristoro di sofferenze fisiche e morali, ma appunto al danno conseguente alla grave perdita di prestigio dello Stato, il quale, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta è tuttavia suscettibile di valutazione patrimoniale". 

Detta ricostruzione del danno da lesione del prestigio della P.A., come danno patrimoniale, offensivo di interessi e valori che possono comportare profili di valutazione economica al di fuori dei danni non patrimoniali, trova conferma nella posizione della Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 184 del 1986, ha ricostruito il concetto di danno non patrimoniale all'interno del "danno morale subiettivo" come tale riferibile solo alle persone fisiche.

I menzionati indirizzi giurisprudenziali della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione traggono ispirazione da orientamenti oramai invalsi in dottrina e in giurisprudenza civile sulla base delle quali viene limitata l'ampiezza dell'area dei danni non patrimoniali in senso stretto, rientranti nella disciplina di cui all'art. 2059 CC, preferendo una interpretazione restrittiva di tale disposizione del codice civile che finisce per disciplinare il solo danno derivante, appunto, dalle sofferenze fisiche e morali patite da una persona fisica (pretium doloris), e ciò allo scopo di assicurare maggiore certezza di tutela ai diritti della personalità (tra cui l'identità personale, l'immagine, il nome, il prestigio, etc.), in conseguenza delle maggiori possibilita’' che offre la clausola generale di cui all' art. 2043 c.c., entro il quale vengono fatte rientrare dette categorie di danno risarcibile.

Parallelamente, anche la giurisprudenza della Corte dei Conti ( v. Corte dei Conti, Sez. II, n.114\94, da ultimo Sez. Umbria 252\98; per questa Sez. v. n.31\94,133\96,1290\96,436\998, 1458\98,1679\98) ha mostrato sensibilita' verso forme di tutela del pubblico erario non limitando la valutazione dell'integrita' dello stesso a considerazioni ragionieristico- contabili, ma introducendo prospettive di maggior profondita' giuridica al fine di salvaguardare ogni interesse giuridicamente protetto correlato con il concetto di " contabilita' pubblica" di cui all'art. 103 della Costituzione, intendendo la nozione di patrimonio pubblico in maniera piu' esaustiva, come insieme di utilita' protette e di risorse facenti capo ai soggetti pubblici in luogo del restrittivo riferimento ai beni fisici, al denaro ed ai crediti (Corte dei Conti, Sez. II, n. 281\93:" E' danno qualunque violazione di un interesse pubblico generale che sia organizzato nell'ambito di un apparato pubblico ed economicamente valutabile").

I referenti normativi di tale profilo di responsabilità amministrativa possono ben rinvenirsi nella lettura dell'art. 52 del TU della Corte dei Conti e dell'art. 18 del TU sugli impiegati civili dello Stato, DPR n. 3 del 1957 alla luce delle disposizioni della Carta Costituzionale ove si rinviene anche un intento di salvaguardia della personalità dello Stato, della sua immagine ed del suo prestigio: gli artt. 2,42,53, l'art. 98 che ha sancito il dovere di fedelta' e soprattutto l'art. 97 che ha costituzionalizzato il valore dell'imparzialità e del buon andamento e, quindi, anche dell' immagine della Pubblica Amministrazione. 

Cio' segna percio' un allineamento delle tecniche di individuazione del danno e delle forme di garanzia fra l'ordine giurisdizionale civilistico e quello amministrativo-contabile.

Per una più compiuta ricostruzione del danno di cui si discute in termini di patrimonialità questo Giudice espone le seguenti considerazioni: il danno all'immagine riguarda certamente la lesione di un bene immateriale cui sottosta’ un interesse ed un valore etico morale, non possibile oggetto di trattazione commerciale, come tale non riconducibile ad un concetto commercialistico patrimoniale; occorre pero' distinguere tra danno evento e danno conseguenza: sotto questo ultimo profilo il danno " de quo" è, si ripete, patrimoniale. 

Il danno non patrimoniale, infatti, comporta, per scelta di valore dell'ordinamento, un arricchimento del soggetto danneggiato, in termini economici: cio' a fronte della ritenuta opportunità di un atto satisfattivo di fronte alla perdita o alla menomazione di beni ed utilità non valutabili in termini aziendalistico-commerciali e che, sotto il profilo del loro valore, attraggono interessi ritenuti da detto ordinamento di particolare importanza. 

Il danno patrimoniale, ha, di contro, come presupposto un dato, la lesione all'integrita' del patrimonio, inteso, come poc'anzi detto, in senso ampio.

Questa caratteristica si rinviene nel danno all'immagine: se, infatti, da un lato, l'imputazione di responsabilita' per detto danno ha aspetti preventivo-sanzionatori ( sull'aspetto della prevenzione, sia speciale che generale si v. questa Sez. n. 1679\98), valutazioni di carattere etico e connotati personali (censura per un comportamento gravemente irrispettoso delle regole e dei doveri da seguire, v. sentenza di questa Sezione Lombardia sopra citata), per l'aggancio all'art. 97, di cui si è già fatto cenno, d'altro canto questa ha anche un intento di carattere compensativo che, qualora si accedesse a tesi contraria a quella qui esposta, non risulterebbe correttamente evidenziato: e' infatti indubitabile che tale lesione ha ricadute economiche sia come perdita sia come necessita' di esborso per il rispristino del bene leso e, si noti bene, la decisione della Corte di Cassazione più volte citata ha utilizzato la locuzione " ripristino del bene leso" per indicare la doverosita' di una restaurazione del prestigio e della funzionalita' della Pubblica Istituzione, e non di una semplice riparazione ( dello stesso avviso Corte dei Conti Sez. Umbria 255\98;) si tratta, poi, di un danno indiretto per l'ampliarsi della catena causale che conduce alla causazione di questo.

Cio' che si addebita al Brogiato e' quindi una voce di danno patrimoniale, la cui natura discende in maniera piana dall' esame delle rilevanti conseguenze patrimoniali e finanziarie che derivano dai comportamenti in esame, in termini di possibili effetti emulativi da parte di altri dipendenti, dello storno di richieste di servizi e prestazioni dal pubblico al privato, dell'induzione all'evasione nei confronti dei contribuenti, dalla possibilita' di alterazione delle regole che governano l'attività economica deviata dai suoi principi di concorrenzialità e trasparenza. 

Sottolinea questo Giudice che dette argomentazioni rilevano in sede di individuazione del danno all'immagine, poiche' valide considerazione di carattere generale quali fatto notorio, logico e statistico.

Delineati quindi i gravi fatti che si evincono dal procedimento penale e che sono stati sopra descritti, da ascrivere colpevolmente al Brogiato, e configurata , sul piano teorico, la nozione del danno cui lo stesso è chiamato a rispondere, è compito del Collegio definire i criteri individuativi della perdita economica nonche' della "spesa necessaria al ripristino del bene leso".

Se vi e' certezza circa "an" del danno in questione, e' ardua una sua quantificazione analitica, onde per cui si dovra' fare ricorso a criteri in ultima analisi sempre equitativi, ex art. 1226 c.c.

In tal senso si dovra' tenere conto: della funzione svolta, ovvero il ruolo del soggetto nell'organizzazione amministrativa, la sua eventuale posizione di rappresentanza esterna e il carattere dell'ente, ovvero la sua capacita' esponenziale, il suo ambito territoriale, gli interessi di cui ha cura ( un profilo che si potrebbe definire soggettivo, cfr. Sez. Umbria 255\98): in tal senso a carico del Brogiato rileva la fondamentale importanza - anche costituzionale - dell'interesse fiscale; della gravita' dell'illecito, le sua modalita' di perpetrazione, la reiterazione della condotta, l'arricchimento, l'induzione all'emulazione nei confronti dei colleghi ( aspetto soggettivo): tale criterio si rileva di particolare valenza nei confronti del convenuto; della reazione della collettivita', ed in particolare gli atteggiamenti conseguenti, anche collusivi, del mondo imprenditoriale e degli utenti dei servizi e delle prestazioni della P.A. ( profilo sociale). 

Alla stregua di tali indici di riferimento, questa Sezione ritiene di dover condannare il Brogiato al pagamento - per i presenti addebiti - della somma di £ 200.000.00, pari all'entita' della tangente, così come computato dalla Procura nel secondo atto di citazione.

La condanna totale del convenuto ammonta quindi a £. 1.368.358.000.

Per il Traversa si ripete, va rigettata la pretesa della Procura con la conseguente revoca del disposto provvedimento di sequestro. 

La condanna alle spese va a carico esclusivamente del soccombente Marco Brogiato.

PQM

La Corte dei Conti Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, definitivamente pronunciando:

- rigetta la pretesa della Procura nei confronti di Traversa Giuseppe e revoca il provvedimento di sequestro disposto nei suoi confronti;

- condanna Brogiato Marco, per le ragioni di cui in motivazione, al pagamento di £. 1.368.358.000 e spese processuali, liquidate in £. 3.376.530, piu' interessi sulla somma di £. 1.168.358.000 (danno diretto).

Sull’entità totale della somma vanno computati altresi' gli interessi dalla condanna al soddisfo.

Cosi' deciso in Milano nella Camera di Consiglio del giorno 13.1.1999.

 



Nessun commento:

Posta un commento