menu


Brescia,

lunedì 27 novembre 2023

Da Eurispes. I numeri dell’Eurispes e le parole di Giovanni Falcone

Il Rapporto Italia 2010 dell’Eurispes già evidenziava come solo il 36% dei cittadini condividesse e approvasse l’attuale sistema ordinamentale che accomuna indistintamente i magistrati dell’accusa, quelli che devono esercitare una funzione di controllo sull’operato nel corso delle indagini, e coloro che invece, attraverso il processo, dovranno giudicare. 

Prevaleva allora la convinzione che il sistema pregiudicasse l’imparzialità stessa dei magistrati, non consentendo la necessaria parità nel corso del procedimento penale tra accusa e difesa. 

Il tema della magistratura politicizzata, dunque, non è solo contemporaneo.

È un orientamento ancora oggi attuale. 

Lo stesso Giovanni Falcone, del resto, nel 1989 così scriveva: «(…)comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. 

Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere. 

Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti, rispetto a quelle giudicanti, nell’anacronistico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza e autonomia della magistratura».

Una presa di posizione netta, non condivisa ad esempio da uno dei più autorevoli magistrati italiani, Gian Carlo Caselli per il quale «una riforma della giustizia con la separazione delle carriere sarebbe la riforma peggiore. 

Senza esagerazioni o ipocrisie, va detto che in gioco c’è l’indipendenza della magistratura. 

La stragrande maggioranza dei magistrati italiani ha la schiena dritta: l’indipendenza (la libertà di decidere senza essere soggetto a palazzi o potentati politici, economici, culturali) la respira e la vive come elemento naturale. 

La separazione delle carriere è praticamente sinonimo di dipendenza del Pm dal potere esecutivo, nel senso che in tutti i paesi in cui c’è la separazione, il Pm, per legge!, deve ottemperare a ordini, direttive o indicazioni del governo. 

Vale a dire che poco o tanto, per un verso o per l’altro, non è indipendente. 

Sicuramente non è mai indipendente come nel nostro Paese».

Uno dei temi al centro del dibattito pubblico, oltre a quello preso in esame, è rappresentato dalla presunta politicizzazione dei magistrati italiani che vengono spesso accusati per i loro supposti pregiudizi di carattere politico o ideologico. 

Complici i mezzi di comunicazione di massa che, spesso, imbastiscono veri e propri processi mediatici assolvendo o condannando indipendentemente dalle circostanze reali di ogni caso. 

Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, ha recentemente affermato che «il rapporto distorto tra Pm e stampa ha creato i magistrati giustizieri, con Procure che non sono più in funzione dell’accusa ma in funzione di un giudizio, senza considerare che avviano l’accusa e danno il giudizio, tenendo sotto la minaccia di indagini per anni le persone e divulgando le informazioni», come semplicemente e' accaduto nei confronti del Dott. Giuseppe Traversa

Nessun commento:

Posta un commento