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Brescia,

lunedì 27 novembre 2023

Da Eurispes. Il tema della separazione delle carriere nella magistratura

Ma stiamo al tema della separazione delle carriere: le norme dell’ordinamento giudiziario vigenti in tema di passaggio dalle funzioni requirenti a quelle giudicanti (e viceversa), nonché in tema di assegnazione dei magistrati all’una o all’altra funzione al termine del tirocinio, sono quelle previste dal D.lgs n. 160/2006, emesso in attuazione della legge delega 150/2005, successivamente modificate dalla legge n.111/2007. 

Il conseguente nuovo sistema ha notevolmente cambiato quello preesistente. 

A seguito della citata riforma, infatti, le funzioni requirenti di primo grado possono ora essere conferite solo a magistrati che abbiano conseguito la prima valutazione di professionalità, in pratica dopo quattro anni dalla nomina.

La riforma ha limitato il passaggio delle funzioni, vietandolo nei seguenti casi: all’interno dello stesso distretto; all’interno di altri distretti della stessa regione; all’interno del distretto di Corte di appello determinato per legge (ex art. 11 c.p.p.) come competente ad accertare la responsabilità penale dei magistrati del distretto nel quale il magistrato interessato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. 

Viene altresì indicato il limite massimo di quattro passaggi nel corso della complessiva carriera del magistrato, unitamente alla previsione di un periodo di permanenza minima nelle funzioni pari a cinque anni.

Ai fini del passaggio si richiedono, inoltre, la partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e la formulazione da parte del Consiglio superiore della magistratura, previo parere del consiglio giudiziario, di un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni. 

Il cambio di funzioni, purché avvenga in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza, è possibile anche nel medesimo distretto nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro.

Nel primo caso, il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. 

Nel secondo caso, il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. 

In tutti i predetti casi il cambiamento di funzioni può realizzarsi – si ripete – soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. 

Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza.

Va pure precisato che la legge n.111/2007 ha eliminato la netta ed irreversibile separazione delle funzioni originariamente introdotta dalla “legge Castelli” (secondo cui, dopo cinque anni dall’ingresso in magistratura occorreva scegliere definitivamente tra funzioni requirenti o giudicanti): il nuovo sistema ha impedito l’entrata in vigore di una normativa che, di fatto, realizzava una separazione delle carriere, aggirando il dettato costituzionale.

La Costituzione (artt. 104 I c. e 107 ult. c.), in linea con la nostra cultura e tradizione giuridica, peraltro, prevede la figura del pubblico ministero come totalmente autonoma ed indipendente rispetto al potere esecutivo, assistita dalle stesse garanzie del giudice e, affermata l’obbligatorietà dell’azione penale (art.112), le attribuisce la disponibilità della polizia giudiziaria (art. 109). 

Appare netta, nel disegno costituzionale, la antitesi del modello previsto rispetto a qualsiasi ipotesi di centralizzazione e gerarchizzazione su scala nazionale del pubblico ministero. 

Sempre nella Costituzione (Titolo IV – La Magistratura) si fa riferimento solo alle funzioni dei magistrati e “le carriere” non vengono mai nominate, ma nel lessico politico-giudiziario, si usano spesso le due formule, quella della separazione delle funzioni e quella della separazione delle carriere. 

Nel primo caso, ove si alluda ad una novità da introdurre nell’ordinamento, la definizione dovrebbe essere respinta dall’addetto ai lavori, posto che la separazione delle funzioni è già prevista dal nostro ordinamento. 

Il riferimento alla separazione delle carriere, invece, evoca un sistema in cui l’accesso alle due funzioni avvenga attraverso concorsi separati, le carriere di giudicanti e requirenti siano amministrate da distinti CSM ed in cui il passaggio dall’una all’altra funzione sia impossibile.

Gian Domenico Caiazza, avvocato e presidente dell’Unione Camere Penali, a favore della separazione, sostiene che: «I paesi che hanno adottato il sistema accusatorio hanno attuato la separazione delle carriere. 

Il potenziamento del ruolo del Giudice consentirebbe di eliminare lo squilibrio tra inquirenti e giudicanti, perché il “controllato” (il Pm) ha preso il sopravvento sul “controllore” (il Giudice), tanto che le indagini, e non solo nell’immaginario, hanno assunto un peso e un’importanza maggiore persino delle sentenze, pregiudicando, tra l’altro, il principio costituzionale della presunzione di innocenza». 

Tra le motivazioni principali a sostegno della separazione: la contiguità tra giudici e Pm, conseguenza dell’appartenenza alla medesima carriera, che condizionerebbe i primi, causandone una sorta di appiattimento sulle tesi dei Pm, con una maggiore attenzione alle tesi dell’accusa pubblica.

Il caso, in questo blog riportato, del Dott. Giuseppe Traversa riflette pienamente tale appiattimento sulle tesi del Pm, da parte del magistrato giudicante.

Un elemento che confermerebbe tale contiguità risiederebbe nella proporzione tra il numero delle misure cautelari richieste dal Pm, tra quelle emesse dal Gip e tra quelle confermate o annullate dal Tribunale del riesame. 

Chi sostiene l’opportunità di una separazione, inoltre, ricorda che questa favorirebbe una maggiore specializzazione del pubblico ministero, richiesta dal Codice penale. 

I detrattori della separazione delle carriere insistono, invece, su argomentazioni quali il pericolo che i Pm possano diventare, di fatto, al servizio del potere esecutivo, con la conseguenza che venga mortificata la cultura della giurisdizione e che si sgretoli il principio della obbligatorietà dell’azione penale in favore della discrezionalità. 

È questo lo scenario in cui si scontrano due distinte visioni, con l’avvocatura che cerca di conseguire un risultato storico, oggi forse possibile a fronte di una magistratura più vulnerabile a seguito degli scandali che l’hanno interessata, e con un sistema dei partiti che sul tema è più che mai agguerrito.

Auspichiamo una riforma con il disegno della separazione delle carriere, grazie a Carlo Nordio, sperando che cio' contribuisca a rendere preminente e super partes la posizione del magistrato giudicante.

Da Eurispes. I numeri dell’Eurispes e le parole di Giovanni Falcone

Il Rapporto Italia 2010 dell’Eurispes già evidenziava come solo il 36% dei cittadini condividesse e approvasse l’attuale sistema ordinamentale che accomuna indistintamente i magistrati dell’accusa, quelli che devono esercitare una funzione di controllo sull’operato nel corso delle indagini, e coloro che invece, attraverso il processo, dovranno giudicare. 

Prevaleva allora la convinzione che il sistema pregiudicasse l’imparzialità stessa dei magistrati, non consentendo la necessaria parità nel corso del procedimento penale tra accusa e difesa. 

Il tema della magistratura politicizzata, dunque, non è solo contemporaneo.

È un orientamento ancora oggi attuale. 

Lo stesso Giovanni Falcone, del resto, nel 1989 così scriveva: «(…)comincia a farsi strada faticosamente la consapevolezza che la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale, le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi: investigatore a tutti gli effetti il pubblico ministero, arbitro della controversia il giudice. 

Su questa direttrice bisogna muoversi, accantonando lo spauracchio della dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale che viene puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere. 

Disconoscere la specificità delle funzioni requirenti, rispetto a quelle giudicanti, nell’anacronistico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza e autonomia della magistratura».

Una presa di posizione netta, non condivisa ad esempio da uno dei più autorevoli magistrati italiani, Gian Carlo Caselli per il quale «una riforma della giustizia con la separazione delle carriere sarebbe la riforma peggiore. 

Senza esagerazioni o ipocrisie, va detto che in gioco c’è l’indipendenza della magistratura. 

La stragrande maggioranza dei magistrati italiani ha la schiena dritta: l’indipendenza (la libertà di decidere senza essere soggetto a palazzi o potentati politici, economici, culturali) la respira e la vive come elemento naturale. 

La separazione delle carriere è praticamente sinonimo di dipendenza del Pm dal potere esecutivo, nel senso che in tutti i paesi in cui c’è la separazione, il Pm, per legge!, deve ottemperare a ordini, direttive o indicazioni del governo. 

Vale a dire che poco o tanto, per un verso o per l’altro, non è indipendente. 

Sicuramente non è mai indipendente come nel nostro Paese».

Uno dei temi al centro del dibattito pubblico, oltre a quello preso in esame, è rappresentato dalla presunta politicizzazione dei magistrati italiani che vengono spesso accusati per i loro supposti pregiudizi di carattere politico o ideologico. 

Complici i mezzi di comunicazione di massa che, spesso, imbastiscono veri e propri processi mediatici assolvendo o condannando indipendentemente dalle circostanze reali di ogni caso. 

Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, ha recentemente affermato che «il rapporto distorto tra Pm e stampa ha creato i magistrati giustizieri, con Procure che non sono più in funzione dell’accusa ma in funzione di un giudizio, senza considerare che avviano l’accusa e danno il giudizio, tenendo sotto la minaccia di indagini per anni le persone e divulgando le informazioni», come semplicemente e' accaduto nei confronti del Dott. Giuseppe Traversa

Da Eurispes: Giudici politicizzati, l’esempio americano a confronto con il modello italiano

In un dibattito così acceso, rimane nell’ombra l’aspetto più eclatante, almeno dal punto di vista europeo, cioè la forte politicizzazione della procedura di nomina dei giudici nell'ambito americano.


Prendiamo il caso della Corte Suprema ovvero la Corte di Cassazione americana.


Si è scelti giudici per la propria partigianeria. 


Tutti considerano legittimo che essi manifestino esplicite posizioni già a partire dalla vita antecedente, professionale oltre che personale. 


Prima di giudicare nelle stesse materie. 


Del resto, tutti i nove giudici della Corte Suprema sono di nomina “politica” perché indicati dal presidente il quale sceglie secondo i propri, ed altrui (dei candidati), convincimenti.


Non è scandaloso, dunque, che il giudice sia nominato perché repubblicano o democratico. 

E anzi non è nemmeno deprecabile esternare simpatia per l’uno o l’altro schieramento. 

Lo scontro verte su chi debba nominarlo, non sul diritto di scegliere un giudice politicamente gradito. 

L’argomento usato da entrambe le fazioni è ugualmente politico, non giuridico. 

È più legittimato chi detiene ora il potere ma è alla fine del mandato (Biden), o chi avrà davanti a sé l’intero periodo (il nuovo eletto)?

Sono molto diversi i sistemi di selezione dei giudici in America e in Europa, così come differenti sono gli ordinamenti, distinti tra la common law anglosassone (basata sul valore vincolante del precedente) e la civil law continentale (derivante dal diritto romano e fondata sulla codificazione gerarchica delle norme). 

Ci si confronta dunque con meccanismi differenti, che però in ciascuna società sono radicati e condivisi.

Il principio della eleggibilità dei giudici (piuttosto che la selezione mediante concorsi pubblici, o la nomina da parte di organismi indipendenti) è l’inevitabile corollario della legittima esposizione politica dei candidati. 

Se sono eleggibili (o nominabili dall’autorità politica), è naturale che si conoscano le opinioni e che siano scelti proprio per questo.

Al contrario, nei paesi europei, in Italia in particolare, il criterio della “neutralità” del giudice è affermato in modo rigoroso, e declinato in tutte le maniere, la sua inosservanza è sanzionabile: chi è chiamato ad applicare la legge è tenuto ad un doveroso riserbo sui propri convincimenti politici o sociali, salvo quanto può emergere dai contributi scientifici. 

Sono criticabili le posizioni espresse fuori dai contesti istituzionali, sconvenienti le “appartenenze” di qualunque tipo o le vicinanze al mondo politico: se emergono, destano scandalo e provocano conseguenze, come da ultimo nel “caso Palamara”.

Le origini di simili differenze risalgono probabilmente al diverso approccio storico ai problemi dell’organizzazione statale. 

Differente è il valore attribuito alla prassi rispetto alla teoria. 

Il ruolo dell’esperienza rispetto a quello della formazione preventiva.

In America si dà maggiore importanza all’uso che del potere si faccia in concreto, non alle posizioni di partenza: si tollera quindi che ci sia un (pre)giudizio inevitabile dovuto alle proprie opinioni in attesa di vedere che cosa farà il prescelto una volta messo all’opera. 

È questo che conta, poi se farà male non sarà rieletto.

In Europa, si manifesta maggiore fiducia nella capacità delle norme codificate di selezionare la classe dirigente. 

Una scelta che sconta il pessimismo (o il realismo) maturato dopo tanti traumi provocati da eventi storici drammatici. 

Non si attende l’esperienza concreta, comunque incerta, si cerca di prevenire i rischi del cattivo operato o del malaffare.

Le numerose questioni che oggi lacerano le società – uguaglianza, diritti, lavoro, ordine pubblico – dimostrano le difficoltà nelle quali, a qualunque latitudine, si dibattono i sistemi giuridici. 

Il reclutamento dei giudici (ma anche degli altri funzionari pubblici) rimane un problema controverso e senza un orizzonte operativo sicuro.

L’appartenenza (di qualunque tipo) sembra incompatibile con il concetto di giustizia. 

Stona pensare che l’applicazione della legge possa essere contigua alla ricerca del consenso, che è l’obiettivo della politica. 

Però dobbiamo riconoscere che anche il diritto codificato ha maglie molto larghe che lasciano inaccettabili spiragli al degrado.

Il principio di trasparenza comunque articolato, che giustifica la pubblicizzazione degli orientamenti politici e che pure ispira in Europa rigide procedure, alla fine non è sufficiente da solo a garantire scelte oculate ed efficaci. 

Rimane sempre scoperto il tema della credibilità della persona, come individuo ed esponente dell’Istituzione, un profilo complesso che unisce competenza professionale e qualità umana. 

Da Eurispes. Magistratura politicizzata: la situazione tra scandali e veleni

La magistratura italiana vive una crisi che, di giorno in giorno, alla luce degli scandali che la cronaca racconta e delle rivelazioni che il cosiddetto “sistema Palamara” disvela, non fa che acuirsi. 

Il caso Palamara, magistrato espulso dall’Anm, ha provocato un vero e proprio terremoto giudiziario, con il metodo scoperto delle nomine in base alle logiche delle correnti interne delle toghe.

Su questa circostanza è intervenuto persino il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per «l’inammissibile commistione tra politici e magistrati» che «incrina la credibilità e l’indipendenza della magistratura». 

Tra scandali e veleni, torna in auge il tema della magistratura politicizzata in Italia. 

È una crisi non solo di funzionalità dell’apparato ma anche e soprattutto di credibilità agli occhi dei cittadini che, sino a non molto tempo addietro, proprio nei magistrati e nella magistratura riponevano grande fiducia, considerando quest’ultima presidio di legalità e garanzia di democrazia. 

Di riforma della giustizia e magistratura politicizzata nel nostro Paese si parla da decenni senza grandi risultati.

I suoi mali storici sono ben noti: lunghezza dei processi – civile, penale, amministrativo, tributario –, carenza di personale amministrativo nei tribunali, ingente mole di leggi che impediscono una semplificazione causando lungaggini e ritardi. 

In via parallela, gli analisti e gli esperti indicano i mali della magistratura che di certo non rendono migliore il servizio della giustizia. 

Tra questi, il correntismo presente nella magistratura, i rapporti controversi con la politica e con i politici, il rapporto anomalo di alcuni magistrati con i mass media e con i giornalisti, il ruolo del Csm come strumento di autogoverno, la vicinanza dei magistrati giudicanti con quelli requirenti e, da qui, la paventata separazione delle loro carriere per una maggiore indipendenza, a garanzia dei cittadini: riproposta dalle Camere Penali con una iniziativa popolare già in Parlamento e che mira ad una riforma costituzionale.

I penalisti sottolineano come: «Settantaquattromila cittadini italiani hanno firmato per chiedere l’introduzione di questa riforma costituzionale, l’unica riforma che può rendere i pubblici ministeri  indipendenti dalla politica e rendere i giudici indipendenti dai pubblici ministeri». 

La proposta di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati prevede la scissione tra i giudici e i Pm e la formazione di due distinti Csm, uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente.

Scontro Crosetto-ANM: la paura diffusa nel governo. Colpiranno prima delle Europee

Non si placa lo scontro tra governo e magistratura.
 
Dietro le accuse di Crosetto nei confronti delle toghe con quel sono a conoscenza di alcune riunioni segrete tra magistrati ci sarebbe un disegno per colpire Giorgia Meloni.

Ad accendere la miccia il ministro Guido Crosetto che in un' intervista al Corriere della Sera sostiene che il governo può essere messo a rischio solo dall' opposizione giudiziaria e riferisce di aver saputo di riunioni di una corrente della magistratura in cui si dibatte di come fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni.

Emergono nuovi dettagli più precisi che porterebbero a persone molto vicine alla premier finite nel mirino.

Si parla di una potenziale inchiesta per finanziamento illecito a carico di persone "molto vicine" a Giorgia Meloni. 

Un'eventuale inchiesta, è il ragionamento, sarebbe sufficiente per scatenare il sospetto di una manina dietro un'indagine che potrebbe scoppiare prima delle elezioni europee.
 
Esattamente come dice Crosetto, e cio' costituirebbe un’anticipazione di condanna, anche se poi dalle indagini non dovessero emergere reati.

Guido Crosetto dice: "A me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura, in cui si parla di come fare a fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni, e siccome ne abbiamo visto fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee..."
 
Mettiamola così. 

Le procure sanno che se gettano l'amo in alcuni laghetti qualcosa pescano.
 
Il problema è che semmai, in passato, per i governi di sinistra quell'amo si sono ben guardati dal lanciarlo", è il ragionamento di un inquirente che preferisce restare anonimo.

Dietro l’intervista con cui il ministro della Difesa ha lanciato l’allarme contro la magistratura c’è una paura diffusa nell’esecutivo.
 
Tanto che le parole di Crosetto sarebbero state concordate con la premier Giorgia Meloni.

E lui dice di essere pronto a riferire al Copasir, dove le sedute sono segrete, o all’Antimafia, dove possono esserlo.

Nel mirino del ministro ci sono anche due interventi.

Uno del magistrato in pensione Nello Rossi sulla rivista di Magistratura Democratica. 

E un congresso della componente Area in cui si evoca la funzione anti maggioritaria delle toghe.

E' l’opposizione piu' efficiente che esista o che sia mai esistita a questo governo.

Molto di quanto bolle in pentola resta per adesso riservato.

Ma intanto torna ad alzarsi la tensione sulla giustizia con un nuovo scontro tra governo e magistrati e l'opposizione che va all'attacco dell'esecutivo.

Una presa di posizione che arriva proprio nel giorno in cui l'ANM riunisce a Roma gli iscritti sugli attacchi venuti nei mesi scorsi da governo e maggioranza ai magistrati - a partire dalla giudice catanese Iolanda Ippolito - che hanno sconfessato il dl Cutro in materia di migranti.

L'accusa del ministro è una fake news che non ha alcun fondamento e fa male alle istituzioni. 

È un attacco ai magistrati , ma anche una rappresentazione malevola dell'impianto istituzionale del Paese, ribatte il presidente dell'ANM, Giuseppe Santalucia, che ritiene fuorviante la rappresentazione di una magistratura che rema contro e che si fa opposizione politico-partitica.

Dalla riunione delle toghe arrivano altre repliche al ministro. 

Ciccio Zaccaro, segretario di Area, il gruppo delle toghe progressiste, accusa Crosetto di delegittimare le istituzioni repubblicane. 

Mentre il segretario di Magistratura Democratica, Stefano Musolino interpreta le parole del ministro Crosetto come un monito alla magistratura a conformarsi agli scopi del governo.

Ma è soprattutto sul terreno della politica che il clima si fa incandescente, con le opposizioni (con l'eccezione di Italia viva) che censurano le affermazioni di Crosetto e invitano il ministro a riferire in Parlamento immediatamente, come sollecita il deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova o ad andare in procura se ha le prove di quello che dice. 

Tant'è che il titolare della Difesa replica più volte alle critiche, spiega che non ha inteso attaccare la magistratura, ma solo difendere le istituzioni cercando la verità e assicura che è pronto a presentarsi al Copasir o in Antimafia.

Se il ministro sa qualcosa che mette in pericolo la sicurezza nazionale, lo dica. 

Diversamente, la smetta questo governo di lanciare velate minacce avverte Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, mentre i parlamentari del suo gruppo in Antimafia chiedono di fissare al più presto l'audizione di Crosetto. 

L'accusa di Crosetto ai magistrati è gravissima perche' significa attribuire a una parte della magistratura finalità eversive.

Se il ministro ha informazioni così rilevanti, lo incalza il presidente del M5s Giuseppe Conte, deve andare immediatamente in procura. 

Anche per il leader di Azione Carlo Calenda un ministro non può riferire di complotti di magistrati senza denunciarli, non siamo al bar dello sport. 

Non fa sconti nemmeno il presidente nazionale di Centro democratico Bruno Tabacci, per il quale quelle di Crosetto sono parole in libertà, mentre di dichiarazioni  eversive parlano Angelo Bonelli (Avs) e Giovanni Barbera (Rifondazione comunista). 

Il leader di Iv Matteo Renzi invece solleva il problema delle ragioni per le quali Giorgia Meloni ha bloccato la riforma della giustizia.

Poche le voci dalla maggioranza. 

Forza Italia si schiera con Crosetto e prende la palla al volo per chiedere che la riforma della giustizia, una priorità si faccia prima di quella del premierato, come sollecitano il capogruppo alla Camera Paolo Barelli e il deputato Alessandro Cattaneo. 

Riforma invocata anche dal segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa.

E come sappiamo il fulcro centrale della riforma agognata e' quello della separazione delle carriere, la quale rappresenta un primo piccone contro la casta dei magistrati, contro un potere che non e' solo giudiziario, ma che tende a travalicare i suoi limiti naturali, invadendo i poteri esecutivo e legislativo, paventando un presunto rischio di cadere sotto il controllo del potere esecutivo.

Il problema e' che il controllo dell'esecutivo sull'operato della magistratura inquirente e' cosa del tutto normale, come del resto accade in tutte le piu' moderne ed efficienti democrazie, dove, a differenza dell'Italia, i tempi della Giustizia sono estremamente piu' rapidi.

Ma non e' solo quello perche' il signor Santalucia dimentica che contro Silvio Berlusconi, nel 2011 e' stata messa a punto una vera e propria congiura che rasenta il colpo di stato, in quanto un Presidente del Consiglio dei Ministri, regolarmente eletto per volonta' degli italiani, e' stato buttato fuori dal Parlamento con una manovra dl tutto illegale.

E tale manovra e' il risultato di una deriva anticostituzionale ordita da una magistratura politicizzata.

Risulta dunque che vorrebbero fare la stessa cosa con Giorgia Meloni.